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Giocoliere di forme e parole. Tutto Jean Cocteau alla Collezione Guggenheim di Venezia

USA. NYC. 1949. French poet, artist and filmmaker Jean COCTEAU.
Philippe Halsman Jean Cocteau, New York, USA. 1949 © Philippe Halsman / Magnum Photos
Philippe Halsman Jean Cocteau, New York, USA. 1949 © Philippe Halsman / Magnum Photos

Dal 13 aprile al 16 settembre 2024 la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia presenta una grande retrospettiva dedicata a Jean Cocteau, la prima in Italia. Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere, a cura di Kenneth E. Silver, raccoglie 150 opere – dai disegni ai libri, dai film ai gioielli – che raccontano una figura eclettica capace di vivere pienamente due dimensioni: quella del suo tempo e quella dell’eternità artistica.

Nel 1949 il fotografo Philippe Halsman scatta un ritratto a Jean Cocteau (1889–1963) per la rivista Life, rappresentandolo con sei braccia mentre impugna penna, pennello, forbici, un libro e una sigaretta. É un giocoliere, ma al posto delle palline le sue evoluzioni le compie con i generi artistici. Lo fa con tale naturalezza e sprezzatura – senza impegno, con la leggerezza della spontaneità – che il suo talento sembra sovraumano, quasi di origine divina. Eppure il rischio di chi fa tanto è che, veramente bene, non abbia il tempo di fare nulla. Parole o immagini, letteratura o arte visiva?

Se chiedevi a lui, di definizioni per se stesso ne aveva solo una. Nel 1924, in una dedica su un volume di disegni Dessins scrive infatti: “A Picasso: i poeti non disegnano. Scompongono la scrittura per poi ricomporla diversamente”. Una dichiarazione che non solo evidenzia come nella pratica Cocteau partisse dalla poesia per realizzare le sue opere grafiche (che spesso mescolava con parole) o cinematografiche (il suo primo film si intitola Il sangue di un poeta), ma che anche a livello filosofico e ideologico l’autore intendeva la poesia come il termine che descriveva meglio la sua arte, in qualsiasi modalità espressiva: poésie de roman (romanzo), poésie graphique (disegno), poésie de théâtre (teatro), poésie critique (saggistica) e poésie cinématographique (cinema). Tutto quel che Cocteau realizzava pareva infatti intriso di lirismo, armonia, delicatezza, sentimento, intimismo ed essenzialità, come un verso che con poche sillabe riesce a descrivere un mondo.

Jean Cocteau, Poesia (La Poésie), 1960, Pennarello e pastello su carta, 54 x 37 cm © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 2024.
Jean Cocteau, Poesia (La Poésie), 1960, Pennarello e pastello su carta, 54 x 37 cm © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 2024.

Un mondo, quello di Cocteu, che è oggi composto da disegni, opere grafiche, gioielli, arazzi, documenti storici, libri, riviste, fotografie, documentari e film. 150 di questi sono raccolti alla Collezione Peggy Guggeheim di Venezia, che li espone in una mostra precisissima, che avvolge il visitatore nella sfaccettata figura di Cocteau, evocando tutto l’immaginario della splendente ma malinconica Parigi di inizio Novecento, che l’artista incarnava perfettamente.

In una prospettiva romanzesca, per esempio, potremmo pensare che tutta la sua eloquenza artistica sia merito della sfida che Sergej Djagilev, impresario dei Ballets Russes, lancia al giovane Jean Cocteau e al suo potenziale creativo: “Stupiscimi!” (“Étonne-moi!”). Una provocazione che ogni giorno ridonda in Cocteau e alimenta le sue sperimentazioni. Immaginiamo la sua mente in fiamme, affollata di idee che spingono per guadagnare un posto. Ne risultano continue incursioni in campi disparati, che lo portano a collaborare con i più noti artisti del tempo. Nella sua cerchia figurano, tra gli altri, Pablo Picasso, Tristan Tzara, Joséphine Baker, Coco Chanel ed Edith Piaf. Si può dire che per certi versi rappresenti l’establishment della cultura francese del tempo. Anche per questo è costretto a moderare, a corrente alterna, la franchezza e la disinvoltura con cui dichiara la propria omosessualità e dipendenza dall’oppio. Due aspetti mai taciuti e spesso ostentati, ma al tempo critici e dunque da maneggiare con cura.

Così il riferimento più evidente, nei suoi lavori teatrali (Antigone, 1922; Orfeo, 1923), cinematografici (Il sangue di un poeta, 1930; Orfeo, 1950; Il testamento di Orfeo, 1960) e letterari (La lampada di Aladino, 1908; I ragazzi terribili, 1929)) è al classicismo. Espediente che gli permette di recuperare un’iconografia stratificata, di identificarsi in nella figura di Orfeo (poeta, musicista, amante del rischio) e di poter trattare liberamente l’amore omosessuale. L’interpretazione del mondo classico è però da parte di Cocteau spesso incongrua, anacronistica, umoristica. Per esempio, nella sua rivisitazione di Laocoonte e i suoi figli, il sacerdote troiano non è più accompagnato dai figli, e i serpenti marini inviati dagli dèi per torturarlo sono diventati una semplice corda decorativa avvolta intorno alla sua figura muscolosa, vestita di una tuta trasparente.

Jean Cocteau, La paura dona le ali al coraggio, 1938, Grafite, gesso e pastello su cotone, 154,9 x 272,1 cm © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 20224
Jean Cocteau, La paura dona le ali al coraggio, 1938, Grafite, gesso e pastello su cotone, 154,9 x 272,1 cm © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 20224

La lente erotica è il filtro di quasi tutta l’opera di Cocteau, soprattutto grafica. La mano dello scrittore e del disegnatore è anche quella che accarezza l’amante. Per l’artista sono gesti simili, nel movimento e nel contenuto. I frontespizi dei libri che iscriveva sono luoghi dove parole e immagini si contendono lo spazio sulla pagina, dando vita a un arabesco fitto dove forme e parole di uniscono. Spesso i disegni hanno come soggetto figure umane e sono composti da poche linee, sono i vuoti (i corpi, non a caso) a dare sostanza a tratti leggeri come sussurri. In altri casi – il più emblematico è Il libro bianco del 1928 – l’omoerotismo è esplicito nella serie di disegni raffiguranti nudi marinai.

Il desiderio, la necessità di corporeità ha raggiunto livelli estremi in un grande disegno realizzato su un lenzuolo, La paura dona le ali al coraggio, che descrive la stessa Guggenheim:Era un soggetto allegorico dal titolo La paura dona le ali al coraggio, e includeva un ritratto dell’attore Jean Marais che, con altre due figure molto decadenti, compariva con i peli del pube scoperti. Cocteau vi aveva attaccato delle foglie, ma il disegno provocò un grande scandalo alla dogana britannica, che lo bloccò a Croydon. Marcel [Duchamp] e io ci precipitammo là. Chiesi perché si opponevano al nudo in arte: mi risposero che non era il nudo, ma i peli del pube che li spaventavano. Promisi di non mostrare questo lenzuolo al pubblico, ma solo privatamente a pochi amici, e così mi permisero di prenderlo. Mi piaceva tanto che alla fine lo comprai“.

Cartier Paris, La spada d’Accademico di Jean Cocteau, 1955. Oro, argento, smeraldo, rubino, diamante, opale bianco (originariamente avorio), onice, smalto blu e lama in acciaio. Lunghezza: 87 cm © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 2024.
Cartier Paris, La spada d’Accademico di Jean Cocteau, 1955. Oro, argento, smeraldo, rubino, diamante, opale bianco (originariamente avorio), onice, smalto blu e lama in acciaio. Lunghezza: 87 cm © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 2024.

Ma del dipinto parla anche lo scrittore Roger Lannes, che sul diario del 12 gennaio 1938 annota: “Cocteau ha appena terminato un disegno a carboncino, matita e sangue. Si è tagliato con il rasoio per mettere una macchia di sangue sulla benda di uno dei personaggi“. Che sia l’ennesima lirica visiva o una più socialmente impegnata critica antifascista, come qualcuno ha ipotizzato, l’opera rimane quindi un manifesto dell’importanza che l’artista riservava al corpo. É poi sempre la dimensione fisica a farsi carico, nel periodo di massima dipendenza dall’oppio (nel 1923, dopo la morte dell’amico e protégé Raymond Radiguet), di raccontare l’estasi del consumo e il tormento dell’astinenza, rappresentata attraverso corpi mutilati e contorti dall’agonia. Più leggero lo spirito con cui l’autore approccia la cultura di massa, intercettata grazie al cinema e alla collaborazione con la moda, il design, l’oreficeria e varie iniziative commerciali, che l’hanno visto lavorare per Cartier, Schiaparelli o Alexandre de Paris. In seguito, saranno molti gli artisti a seguire il suo esempio. Solo per citarne alcuni, Alexander Calder decorerà aerei per Braniff Airlines, Cindy Sherman collaborerà con la casa di moda Comme des Garçons, Andy Warhol che promuoverà apparecchi di Sony Electronics.

Infine, la mostra si chiude non con un dipinto, né un disegno o un libro, nemmeno con un film: ma con una spada. Cocteau la progetta nel 1955 in occasione del suo ingresso nell’esclusiva Acadédie Française, che richiedeva appunto una lama decorata ai suoi membri. L’arma è sostanzialmente un autoritratto, un compendio della sua vita e della sua carriera: sull’elsa la lira, in riferimento a Orfeo; sotto, la stella a sei punte che accompagna spesso la sua firma; in cima al fodero compaiono le sue iniziali e all’estremo opposto una mano con un globo bianco in mano, una citazione alla palla di neve presente ne I ragazzi terribili. Un epilogo cavalleresco per un artista rinascimentale per poliedricità, novecentesco per spirito decadente e contemporaneo per la capacità di problematizzare la società moderna senza disconoscerla.

Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere. Foto Matteo De Fina
Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere. Foto Matteo De Fina
Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere. Foto Matteo De Fina

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