Al “rospo umanizzato” trovato dagli archeologi in Perù nell’insediamento di Vichama gli studiosi attribuiscono significati allegorici e simbolici ammiccanti alle problematiche dei cambiamenti climatici
Un’icona legata alla pioggia e all’acqua, essenziale per l’agricoltura. Con la testa scolpita tra le mani a rappresentare l’essere umano preoccupato per la carenza di acqua. È questa l’interpretazione che Ruth Shady Solís, direttrice degli scavi e principale investigatore della civiltà Caral, fornisce dell’incredibile rilievo scultoreo trovato dagli archeologi nell’insediamento di Vichama, in Perù: una rara rappresentazione di un “rospo umanizzato”, scolpito nella pietra 3.800 anni fa, alla quale vengono attribuiti significati allegorici e simbolici già ammiccanti alle problematiche dei cambiamenti climatici. Il rospo che estende le braccia su una testa antropomorfa che ha gli occhi chiusi, trovato nell’anticamera di una sala cerimoniale nella valle del Huaura, per gli studiosi nella visione del mondo andino rappresenterebbe “l’annuncio dell’arrivo dell’acqua”.
La scena completerebbe infatti il “Murale dell’arrivo dell’acqua”, o della fertilità, con quattro teste umane con gli occhi chiusi e due serpenti che si muovono tra di loro, e cinque aste verticali conficcate nel terreno, che secondo l’ipotesi di Shady rappresenterebbero una divinità legata all’acqua che filtra nella terra e fa germogliare i semi. I rilievi scultorei di Vichama sono stati collegati a un periodo di scarsità e carestia che i suoi abitanti avrebbero vissuto: rappresentazioni della memoria collettiva delle difficoltà incontrate a causa dei cambiamenti climatici e della carenza di acqua e cibo.