Nato a Cagli nel 1940, la carriera di Mattiacci era decollata a Roma quando aveva appena 27 anni, nell’ambito della nascente Arte povera
“La mia fonte di ispirazione è il cielo, il cosmo, l’immensità dell’infinito. Quello a cui il Rinascimento e filosofia di Leopardi alzano gli occhi. Nello sguardo cosmico, il pensiero intelligente dell’uomo segue un percorso ampio, come quello del sogno. Il nostro cervello può pensare a cose infinite, dal microcosmo al macrocosmo; con la Fantasia e il Sogno si arriva infatti a sintetizzare e concretizzare un’idea che può diventare un’opera, un’immagine poetica, filosofica, musicale. E anche scientifica, con ironia”. In queste parole affidate al catalogo di una sua mostra a Reggio Emilia Eliseo Mattiacci condensava nel 2006 molta della sua poetica e anche della sua vicenda biografica: questa – lui, marchigiano orgoglioso – nel riferimento all’Infinito e a Leopardi, nel quadro di uno statement auto-critico di artista convinto che l’arte avesse un ordine cosmico, da dover rispettare. “Mi piacerebbe lanciare una mia scultura nello spazio, in orbita. Sarebbe davvero un bel sogno sapere che lassù gira una mia forma spaziale”, proseguiva: e ora ci piace immaginare che lassù la sua scultura ce l’ha portata di persona, visto che il grande scultore, fra i pionieri dell’avanguardia italiana dalla fine anni ’60, è morto la scorsa notte a Fossombrone, dove risiedeva da ormai diversi mesi, all’età di 78 anni.
Nato a Cagli nel 1940, Mattiacci aveva prima studiato all’istituto d’arte Gaetano Lapis della sua città, e successivamente si era diplomato all’Istituto di Belle Arti di Pesaro. Al 1961 risale la sua prima collettiva, organizzata dalla galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, dove si aggiudica il primo premio con un’opera che assembla metalli riciclati: L’uomo meccanico. Ma la sua carriera decolla quando ha appena 27 anni nell’ambito della nascente Arte povera, quando espone alla galleria La Tartaruga di Roma, un trionfo per quell’epoca: vi espone un tubo snodabile lungo 150 metri, trasportato per le strade della città dove il pubblico è invitato a modificarlo. Iniziano per lui le grandi mostre nelle gallerie più importanti del Paese e anche all’estero, da Parigi a New York, mentre la Biennale di Venezia gli dedica una sala monografica nel 1972. Non cessa mai la sperimentazione di nuovi materiali e tecniche, ma predilige spesso le installazioni in spazi aperti, in dialogo con lo spazio naturale e metafisico: come Occhio del Cielo, installazione esposta nel parco dell’Università della California a Los Angeles.
Nel 1988 è nuovamente invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia, tiene una grande mostra – per citare solo qualche sua affermazione – ai Mercati di Traiano a Roma nell’estate del 2001, nel 2006 installa Sonda Spaziale, una colonna alta 17 metri del 1993-1995, assemblage di due strutture metalliche, al Mart di Rovereto, che nel 2016 gli dedica una mostra retrospettiva. Nel 2018 l’ultima grande retrospettiva a Forte Belvedere di Firenze, dal titolo Gong. I funerali si terranno mercoledì 28 agosto alle 16,30 nel duomo di Cagli, la città dov’era nato e dove aveva mosso i suoi primi passi artistici.