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Félix Vallotton, pittore dell’inquietudine. In mostra a Londra a oltre 40 anni dall’ultima retrospettiva

Félix Vallotton, Des Sables au bord de la Loire, 1923. © Kunsthaus Zürich Félix Vallotton, Des Sables au bord de la Loire, 1923. © Kunsthaus Zürich
Félix Vallotton, Des Sables au bord de la Loire, 1923. © Kunsthaus Zürich
Félix Vallotton, Des Sables au bord de la Loire, 1923. © Kunsthaus Zürich

Félix Vallotton, artista caleidoscopico che spaziò dal realismo ai Nabis, dall’Espressionismo all’Impressionismo, è in mostra a Londra ancora fino al 29 settembre.

Cento opere, fra dipinti e incisioni, da musei pubblici e collezioni private, riscoprono l’artista in Gran Bretagna, alla Royal Academy of Arts, a oltre quarant’anni dall’ultima retrospettiva. Poco noto al grande pubblico, dallo stile poco appariscente ma particolarmente profondo, Félix Vallotton (1865–1925) fu un espressionista sui generis, pittore dalle sfumature musicali e oniriche, ma anche sardoniche e amare, narratore di un’umanità che sembrava aver perduta l’innocenza, tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento.

Félix Vallotton, Autoportrait à l’âge de vingt ans, 1885. Musée cantonal des Beaux-Arts de Lausanne. Photo © Nora Rupp
Félix Vallotton, Autoportrait à l’âge de vingt ans, 1885. Musée cantonal des Beaux-Arts de Lausanne. Photo © Nora Rupp

Nato a Losanna, nella Svizzera francofona, ad appena sedici anni, tentò l’avventura a Parigi, forte però di un talento artistico che aveva già cominciato a mostrarsi e che gli permise di iscriversi all’Académie Julian, e nel 1885 espose per la prima volta al pubblico, nel contesto del Salon des Champs-Elysées. In quei primi anni di carriera, si tenne lontano dalla corrente impressionista, che rappresentava l’avanguardia pittorica dell’epoca, preferendo i modelli della tradizione antica nordeuropea, caratterizzati da un freddo, affascinante realismo quasi fotografico; si trattava della pittura sussiegosa che aveva raccontata la nascente borghesia e ne aveva appunto incontrato il favore. Vallotton non fa comunque dell’accademia, ma inserisce quella pittura nel contesto sociale dell’epoca, ovvero di quelle prime angosciose avvisaglie del tormentato rapporto con la modernità. Sulla medesima china che poi seguirà Klimt, quelle scene d’interno e quei ritratti comunicano un profondo senso di solitudine, d’isolamento in un silenzio ovattato, racchiuso nella penombra e attraversato da sguardi timidi, carichi di smarrimento o sospetto.

Félix Vallotton, Coucher de soleil, Villerville, 1917. Kunsthaus Zürich
Félix Vallotton, Coucher de soleil, Villerville, 1917. Kunsthaus Zürich

Una pittura dal forte afflato psicologico ma stilisticamente datata, e che Vallotton frequentò fino alle metà degli Novanta dell’Ottocento, quando fu attratto dal sintetismo del gruppo Nabis di Pierre Bonnard, Edouard Vuillard e Maurice Denis, che in maniera assai decorativa evocavano sensazioni interiori e un mondo che andava al di là dell’osservazione. Dai primi anni Novanta del secolo, pur rimanendo nell’ambito figurativo, la sua pittura si allontana dal realismo, immergendosi nella dimensione onirica del recupero delle radici spirituali dell’umanità, sulla scorta della Secessione viennese ma senza la sua cupa drammaticità. C’è però, al fondo di queste opere dall’andamento musicale, una sorta di rimpianto per la perdita di una condizione d’innocenza e di serenità.

Inoltre, in quegli anni l’arte giapponese esercitava ancora una certa fascinazione sulla scena europea, e anche Vallotton vi trasse ispirazione, in particolare per la stesura dei colori dall’effetto piatto, e per il punto di vista immersivo. Forte di queste ricerche, il suo talento ottenne il riconoscimento ufficiale, ed espose alla Galleria Barc de Boutteville, al Salon de la Rose+Croix e al Salon des Indépendants, a conferma di quanto poco etichettabile fosse il suo stile, tale da attirare l’attenzione di ambienti così differenti.

Félix Vallotton, Clair de lune, 1895. © RMN-Grand Palais (Musée d'Orsay) - Hervé Lewandowski.
Félix Vallotton, Clair de lune, 1895. © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) – Hervé Lewandowski.

La sua fase Nabis fu il preludio all’evoluzione in senso espressionista, interpretando però la corrente con profondo senso della sintesi e avviando un percorso che in parte sarà ripreso, ad esempio, anche da Gabriele Münter. La pennellata piatta, la linea minimalista dai contorni sottili, le luci soffuse e le atmosfere ovattate, costruiscono scene d’interni intrise d’indagine emotiva e psicologica, anticipatrici di quella che sarà l’inquietudine borghese di Edward Hopper.

E tuttavia, questo è solo uno dei volti della pittura di Vallotton, che in quegli stessi anni, tralasciando per un attimo le atmosfere d’ambiente d’ispirazione tedesca, seppe guardare anche a una più serena scelta dei soggetti: compaiono scene familiari, di genere, persino sensuali nudi femminili, e se lo stile rimane legato all’Espressionismo, prevale però quella luce impressionista spagnoleggiante tipica di Joaquin Sorolla.

Un’oscillare fra direzioni emotive differenti, che forse tradiscono la personale inquietudine dell’artista, non certo indifferente alle tensioni che l’Europa stava attraversando in quell’inizio di secolo; e dalle quali cercano un’impossibile via di fuga in quelle pitture di paesaggio intrise di silenzio, angoli di foreste o anse di fiumi dove il tempo si è fermato.

Félix Vallotton, Le Ballon, 1899. Musée d’Orsay, Paris. Photo © RMN-Grand Palais - Hervé Lewandowski.
Félix Vallotton, Le Ballon, 1899. Musée d’Orsay, Paris. Photo © RMN-Grand Palais – Hervé Lewandowski.

Non interessato alle avanguardie cubista, futurista, dadaista, Vallotton continuò il suo percorso figurativo di analisi della realtà, avvicinandosi, negli anni della Grande Guerra, alla natura morta, ma anche alle condizioni dei soldati in trincea (un aspetto questo che la mostra della Royal Academy purtroppo non approfondisce molto). Nature morte cariche di colori, di dettagli di gusto orientale che attireranno l’attenzione di Henri Matisse, mentre le ultime pitture del 1925 (anno in cui l’artista scomparve prematuramente), sono chiari esempi di realismo magico novecentesco. E chissà che, se il destino non avesse deciso diversamente, Vallotton non ci avrebbe regalata una nuova fase artistica dagli imprevedibili sviluppi.

Altro aspetto interessante della produzione artistica di Vallotton, fu rivitalizzare la tradizione dell’incisione su legno, che datava al Cinquecento, il secolo d’oro del Rinascimento tedesco, ed ebbe Dürer e Schongauer come assoluti protagonisti. E Vallotton, con lo sguardo dell’uomo del Novecento, incise per La Revue Blanche e La Plume scene della modernità con il medesimo candore di un artista cinquecentesco, provocando una sensazione di stridore: senza colori, limitandosi soltanto al bianco e nero, queste opere di grafica colgono brevi dettagli di cronaca giornalistica, nera e mondana, con incidenti stradali, assassinii, balli ai tabarin, quando non si tratti di scene domestiche. Sempre vi sottende una sottaciuta ironia, un osservare con distacco una società alla deriva, francamente ridicola, caricatura di se stessa. L’influenza giapponese si fa sentire anche in questa circostanza, con prospettive diagonali e schiacciate.

Félix Vallotton, Intimités V. L'Argent, 1897-8. Ville de Genève, Musées d’art et d’histoire
Félix Vallotton, Intimités V. L’Argent, 1897-8. Ville de Genève, Musées d’art et d’histoire

Artista non facilmente etichettabile, fedele alla figurazione e lontano dalle sperimentazioni delle avanguardie, Vallotton può a prima vista sembrare un residuo della tradizione, quando invece fu un personaggio di poca apparenza e molta sostanza, attento a cogliere la condizione quotidiana dell’individuo, il suo smarrimento nella modernità e il suo irrealizzabile anelito di pace, di silenzio, di civiltà.

www.royalacademy.org.uk

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