Il Centro Matteucci per l’Arte Moderna ospita un’interessante mostra a soggetto femminile, che documenta il cambiamento della percezione e del ruolo della donna nella società italiana fra Ottocento e Novecento. Esposti 40 capolavori di De Nittis, Gemito, Boldini, Hayez, Lega, Fattori, alcuni dei quali inediti. Una raffinata galleria di popolane, gentildonne, contadine, operaie, borghesi, ognuna contraddistinta da una particolare sfumatura di bellezza. Fino al 3 novembre 2019. www.cemamo.it
Viareggio. La seconda metà dell’Ottocento fu per l’Europa un periodo denso di cambiamenti sociali, tecnologici, politici; lo fu ancora di più per l’Italia, che nel 1861 raggiunse l’agognata Unità, fra problematiche di ogni genere e l’urgenza di costruire un’identità nazionale. La pittura servì egregiamente questa causa, con il naturalismo e la Macchia che fissarono sulla tela paesaggi, tipi, usi e costumi delle varie regioni italiane, formando una sorta di racconto per immagini che, seppur per una ristretta minoranza, dava forma alla consapevolezza dell’identità italiana. All’interno di questo racconto, la figura femminile fu soggetto privilegiato, come racconta L’Eterna Musa. L’universo femminile tra ‘800 e ‘900, ospitata nelle sale liberty del Centro Matteucci.
La mostra non è soltanto uno spaccato sociale, ma anche una bella panoramica sull’evoluzione della pittura italiana fra gli anni Sessanta dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, quasi un secolo di storia dell’arte che dai Macchiaioli e gli Impressionisti conduce fino al modernismo di Levy e Casorati Opere che, pur nella diversità di stile, sono accomunate dalla volontà d’indagare la figura e la personalità della donna, andando oltre gli stereotipi dell’angelo del focolare. Un atteggiamento che rientra nel più generale sentire della cultura europea, soprattutto letteraria, che comincia a scoprire personaggi femminili a loro modo “rivoluzionari”, o comunque capaci di rompere le convenzioni borghesi affermando opinioni, atteggiamenti, stili di vita: Emma Bovary, Anne Coupeau, Anna Karenina, Zuleika Dobson, per citarne alcune.
Accanto a queste figure a loro modo iconiche, la mostra celebra anche la donna vista come moglie e madre, ma attraverso opere che possiedono una sensibilità artistica assai profonda nel comprendere e rispettare l’importanza della donna nella nuova società italiana che si sta formando. La femminilità esce dalle atmosfere fintamente diafane per rivelare morbide rotondità, la rudezza un po’ guerriera con sui aggiusta il grembiule da lavoro o si raccolgono i capelli, ma anche il sorriso schietto e xx delle donne di buona volontà. Pur in abiti semplici e quotidiani, tuttavia, la femminilità non manca di lasciarsi apprezzare, anche semplicemente per tramite di uno sguardo riservato. Gioli, Tommasi, Nomellini. Mancini, ci regalano intensi, genuini ritratti di contadine dell’Italia Centrale, occasione anche per divagare sui colori e le fogge dei costumi locali tradizionali. Una pittura questa, che ebbe carattere anche documentario, alla stregua, ad esempio, dei coevi studi di Bourcard.
Atmosfere differenti per quanto riguarda le ricche, eleganti borghesi, dedite a una quotidianità fatta sì di piacere, ma anche di cultura. Alla passeggiata la parco o alla serata al caffè, alternano la lettura o le serate a teatro, sintomi di una nuova consapevolezza, di una “fame di cultura” che tradiva un certo fermento interiore. Si tratta di donne che, per citare Calvino “hanno qualcosa da dire”, e finalmente anche il mondo dell’arte se ne accorge, dà voce alle loro qualità morali e intellettuali, oltre che omaggiare galantemente la loro avvenenza. Dalla Belle Epoque fino alla Grande Guerra, la pittura è classicamente figurativa. Subito dopo, anche il ritratto subisce l’influenza delle avanguardie, l’incertezza del sentire del nuovo secolo, e la sensualità fisica lascia spazio ad atmosfere concettuali, ottenute tramite sperimentazioni formali che guardano all’arte africana e rileggono la classicità greco-romana. La donna perde i suoi caratteri eterei e assume, ad esempio nelle sobrie eppure sensuali “marinare” di Virgilio Guidi, o nelle bagnanti di Moses Levy, caratteri scultorei di un’enigmatica Sibilla, degli anni Trenta, sino ai nudi plastici di Giovanni Colacicchi degli anni Quaranta.
La donna è adesso parte di un universo sociale impregnato di esistenzialismo, che segnò l’ultima grande stagione culturale europea, e il mistero del suo corpo si rinnova, affiancato a quello della mente, per illuminare un cammino civile all’interno di un’Europa da ricostruire.
Tuttavia, questa raffinata mostra muove anche a riflessioni ad essa esterne: se la donna diventa un soggetto sempre più importante per i pittori, almeno in Italia non riesce, con la stessa intensità, a diventare un soggetto attivo sulla scena pittorica. Da questo punto di vista, il nostro Paese era in ritardo rispetto al resto dell’Europa Occidentale; infatti, mentre in Francia, Inghilterra, Germania, Austria, andavano affermandosi le prime artiste a livello veramente professionale (a Vienna, ad esempio, Olga Wisinger Florian fonda nel 1901 il gruppo delle Acht Künstlerinnen, mentre in Francia c’era già stata Berthe Morisot), all’interno dei patri confini la pittura femminile è ancora considerata poco più che un passatempo da salotto, e non si riesce ad andare oltre esperienze circoscritte, come i corsi privati che Giovanni Fattori istituisce all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Per una rinascita della pittura femminile, bisogna attendere gli anni di Emma Ciardi, Margherita Sarfatti, Carol Rama. Ma questa, è un’altra storia.