Il Louvre annuncia che formerà rifugiati siriani e iracheni come guide per quei visitatori che richiedono un “tour” in arabo
Dalle nostre parti la questione l’aveva sollevata nel 2016 il soprintendente di Pompei Massimo Osanna: “I profughi già percepiscono dal Governo italiano una retta giornaliera per il loro mantenimento, senza, tuttavia, essere impiegati in alcuna attività lavorativa”, aveva riflettuto, riferendosi proprio a Pompei. “La retta potrebbe, dunque, essere tranquillamente convertita in pagamento per prestazione d’opera al servizio della cultura. In via generale potrebbero essere inquadrati come giardinieri, oppure affidargli compiti di ripulire la città archeologica da cartacce. Di certo, tra i profughi che arrivano sulle coste italiane ci sono architetti o ingegneri, e magari anche archeologi. Molti di loro provengono da città culturalmente elevate ma che, purtroppo, sono costretti a lasciare per rigidi regimi politici”. La risposta era arrivata dal sottosegretario ai Beni Culturali Antimo Cesaro: “se ne può discutere. Se io volessi fare un esperimento in questo senso non partirei, comunque, dagli scavi di Pompei bensì dai siti minori”, aveva precisato, aggiungendo però di guardare “con attenzione alla proposta di Osanna”. Come troppo spesso in Italia, la cosa finì dimenticata.
Ora qualcosa di simile accade in Francia: dove Il Museo del Louvre – che offre l’ingresso libero ai rifugiati e richiedenti asilo – annuncia che formerà rifugiati siriani e iracheni come guide per quei visitatori che richiedono un “tour” in arabo. Replicando stesse strategie che diversi musei di Berlino attuano dal 2015 con il nome di “Multaka”, e che ha ispirato diversi musei di Oxford, nel Regno Unito. Nel 2018 la fondazione saudita Alwaleed Philanthropies, fondata da Al-Waleed bin Talal e la principessa Ameerah, ha donato nove milioni di euro al Museum of Islamic Art di Berlino proprio per lanciare “Multaka” e sostenere altre iniziative.