Venezia. A pochi passi da “Trauma”, la collettiva inaugurata negli spazi della galleria, Marignana Arte apre le porte della sua Project Room a Silvia Infranco e alla sua “Tempusdefluit, imago latet (perché non voglio dimenticare)” inaugurata sabato 14 settembre e visibile al pubblico fino al 9 novembre.
Lungi dal presentare asetticamente un excursus della carriera dell’artista l’esposizione propone piuttosto un’incursione nel suo studio, invitando il visitatore ad esplorare la sfera fisica e intellettuale del processo artistico. Quello che ne risulta è un archivio di immagini in cui la consapevolezza di sé e della natura si fondono, restituendo allo spettatore un memoir organico e pulsante.
Il racconto inizia da un tavolo che ospita, come fossero lavori finiti, disegni preparatori ed elementi di ricerca ed ispirazione. Primo fra tutti il saggio “La Metamorfosi delle Piante” di Goethe, la cui idea di metamorfosi come alternanza di concentrazione ed espansione di elementi ha smosso e innescato il processo lavorativo dell’artista.
Al servizio dell’idea di trasformazione, radicata nell’immaginario della Infranco, lavorano materiali organici e immagini liquide, mobili: i due elementi si fondono in una narrazione metamorfica dolce, delicata, priva di quel “barocco superfluo” che tende ad appesantire forme e segni.
L’apparenza piacevole ed edibile nasconde in realtà una profonda complessità, che si rivela nell’alteramento e nella stratificazione. I materiali, quasi sempre di natura organica, vengono sottoposti a macerazione, asportazione, inclusione oggettuale; a carta e legno si sovrappongono ossidi, bitumi, caffè, in una metamorfosi di superfici che spinge l’osservatore ad avvicinarsi e cercare di capire.
A sigillare tutto – o quantomeno spesso – la cera: un elemento biologico, malleabile, che affascina l’artista per la sua capacità di “arrestare” il decorso temporale pur mantenendo la sua natura vitale.
Dai “Tracciati” alle “Metaforme” la sensazione è quella di un’evoluzione, dall’immagine alla fotografia all’opera, come se, passo dopo passo, seguissimo le orme di Silvia Infranco nella creazione.
La declinazione plastica del processo la ritroviamo nelle sculture Idroforìa e Melìa, ma soprattutto nell’Asportazione, il cui fascino concettuale non svia dalla poetica di fondo, anzi, ne celebra lo step successivo.
Molteplici stimoli e molteplici chiavi di lettura per una visione che si rivela efficace, fumosa (nel senso più positivo del termine) nonostante la cura e l’analiticità del processo. Una narrazione rispettosa e sentita che in un’epoca di chiasso e kitsch colpisce con delicatezza, accarezzando l’occhio e la mente.