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Oltre Mussolini. Margherita Sarfatti, la prima critica d’arte della storia

Massimo Mattioli, Margherita Sarfatti. Più

Massimo Mattioli, Margherita Sarfatti. Più
Un agile pamphlet scritto da Massimo Mattioli per Manfredi Edizioni ridefinisce l’identità dell’intellettuale creatrice del “Novecento” artistico. Denunciando una miope “conventio ad excludendum”…

Molti nemici, poco onore. La vita di Margherita Sarfatti si potrebbe sintetizzare così, parafrando il celebre motto. Questa la conclusione cui si giunge leggendo il libro di Massimo Mattioli, uscito in coda a una serie di studi ed eventi, come la grande mostra divisa tra il Mart di Rovereto e il Museo del Novecento a Milano.
Una pubblicazione che, si badi, non è un instant-book nato sulla scia di questa tardiva quanto opportuna “riscoperta”, ma un contributo pensato, progettato, sognato a lungo, che dunque solo accidentalmente si inserisce in una temperie – speriamo non esauritasi – che punta a ricollocare in una prospettiva più corretta una figura condannata per troppi anni ad un’ingiusta damnatio memoriae. Per decenni, infatti, una delle menti più brillanti della storia e della critica d’arte del secolo scorso ha pagato lo scotto di essere stata soltanto l’amante del Duce, relegata in un ruolo subalterno che non ha tenuto conto ricchissimo retroterra culturale di un profilo che, a ragion veduta, s’impone per solidità e autorevolezza, al di là della militanza e dell’ideologia.

Margherita Sarfatti
Margherita Sarfatti

Certo, Mattioli non glissa affatto sul legame quasi ventennale tra Margherita e Mussolini, “l’uomo del futuro” secondo le parole di Cesare Sarfatti, l’avvocato sposato dalla giovanissima Margherita Grassini contro la volontà dell’agiata famiglia, col quale si era trasferita dalla natìa Venezia a Milano; e neppure tace la colpevole acquiescenza dell’intellettuale ebrea e un tempo socialista rispetto ad alcune tra le più torbide pagine del Fascismo, dal delitto Matteotti alle leggi razziali (di cui, per inciso, ella stessa fu vittima, ritirandosi in esilio in Sudamerica).
Nel suo agile volumetto – Margherita Sarfatti. Più, Manfredi Edizioni, 2019 -, attingendo anche a documenti inediti del Fondo Sarfatti conservato al Mart, l’autore, nel tentativo di riparare quello che chiama un “buco critico”, un “vulnus storiografico”, lavora innanzitutto sulla necessità di riequilibrare i rapporti Mussolini-Sarfatti, poiché quest’ultima, lungi dall’essere passivamente la “ninfa Egeria” del dittatore, ne fu in realtà mentore negli anni della sua ascesa, affinandone le basi culturali, le conoscenze linguistiche, e indirizzandone perfino le decisioni politiche, come quella della Marcia su Roma. Anche perché, quando incontra il sanguigno maestro di Forlì, Margherita ha già 32 anni ed è una donna affermata, ricca, emancipata, colta, poliglotta, cosmopolita. Insomma, ha più bisogno Mussolini di lei che lei di Mussolini (anche economicamente).
Una “relazione pericolosa” che, a conti fatti, per lei è più foriera di danni che di vantaggi, anche nell’immediato. Ne sono un esempio la breve parabola del “movimento” Novecento (nel capitolo dedicato, capirete il perché delle virgolette), o l’inimicizia di alcuni gerarchi, che da progressivo allontanamento sfocia in aperta ostilità, tanto che nel 1939 gli scritti sarfattiani vengono ritirati dalla circolazione.

Benito Mussolini
Benito Mussolini

Isolamento, ostracismo, rimozione o, addirittura, distorsione: queste le parole che, dopo il rientro in Italia nel 1947, segnano la triste vecchiaia di questa “regina senza corona” (come la definì Alma Mahler), costretta probabilmente a pagare un conto ben più salato delle sue effettive responsabilità (peraltro ammesse nell’autobiografico “My fault”, non ancora tradotto in Italia). Troppo ingombrante la sua personalità, nel bene e nel male: “primo critico d’arte della storia”, curatrice, collezionista, mecenate, storica, scrittrice, giornalista, infaticabile ambasciatrice della cultura italiana, in una dimensione internazionale nella quale si muove perfettamente a proprio agio, anche nel (vano) tentativo di allontanare il Paese dalla stretta nazista. Pagine assai godibili ritraggono una Margherita salottiera e in rapporti con la crème de la crème della sua epoca: i Roosevelt, D’Annunzio, Boccioni, Marinetti, Ada Negri, Filippo Turati e Anna Kuliscioff, Marconi, un Einstein soprendentemente galante… e si capisce che tutta questa galleria di nomi illustri è solo una minima parte della trame che ebbe a tessere, si direbbe con naturale (ma non per questo meno ambiziosa) disinvoltura.

Massimo Mattioli, Margherita Sarfatti. Più
Massimo Mattioli, Margherita Sarfatti. Più

Una donna così pare automaticamente destinata a diventare una calamita per gli “haters”, si direbbe oggi. Se poi è stata anche l’amante del Duce, ecco confezionato l’alibi perfetto per quella che Mattioli chiama la “conventio ad excludendum”, ovvero la rimozione pervicace e capillare del nome Sarfatti da quasi tutta la storiografia artistica del dopoguerra. E qui l’autore non si preoccupa di eufemismi né di diplomazia, assumendo posizioni tranchant che stimolano il lettore ad approfondire l’argomento. La polemica si fa vibrante, i toni caustici, e il piccolo saggio diventa un pamphlet, indirizzato soprattutto contro quelli che, dopo aver indossato la camicia nera, prontamente riciclatisi a nuova verginità politica decretarono la cancellazione sistematica del nome Sarfatti dalla storia dell’arte e della critica d’arte italiana (e perché no, anche dalla letteratura).

La copertina di My Fault, pubblicato negli USA
La copertina di My Fault, pubblicato negli USA

E, se è vero che la storia non si fa con i se e con i ma, si può tuttavia ragionare, “per converso”, su una piccola provocazione dell’autore: “se Margherita Sarfatti non avesse incontrato Mussolini, oggi sarebbe celebrata come figura di donna all’avanguardia nei costumi e nell’emancipazione, come la prima donna al mondo ad affermarsi nel ruolo di moderna critica d’arte, sarebbe stata un’icona del femminismo negli anni ’70, verrebbe studiata come personaggio centrale nello sviluppo delle idee e nell’elaborazione del pensiero culturale e politico di un’importante parte del ‘900…”.

Anita Pepe

https://www.manfrediedizioni.com/prodotto/margherita-sarfatti-piu/

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