Michael Stipe ha presentato al MAXXI il suo nuovo libro fotografico Our Interference Times: a Visual Record, per raccontare come l’interferenza diventa immagine
Per presentare in Italia il suo secondo volume, Michael Stipe ha scelto il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma. Our Interference Times: a Visual Record. Così si intitola il libro fotografico di Michael Stipe, nuovo frutto della sua creatività pubblicato dalla Damiani Editore. Ai più noto come frontman degli ormai sciolti R.E.M., l’artista ha presentato il suo volume – nato anche grazie al supporto dello scrittore canadese Douglas Coupland che lo ha aiutato nella selezione delle immagini – al MAXXI di Roma. Una genesi complessa, visto che Stipe ha dovuto pescare tra un archivio di più di 40 mila scatti, come già successo per la sua precedente raccolta Volume 1.
L’interferenza del titolo è quella che nelle arti grafiche è definita effetto moiré: il libro è, infatti, caratterizzato da immagini distorte, pixellate, trattate violentemente. Ma anche un riferirsi al glitch, al rumore bianco, al segnale: tutte interferenze che possono diventare suono e condurre a un ulteriore flusso di pensieri. C’è anche un rimando al rapporto tra fotografia analogica e digitale, che qui si incontrano in uno scontro di ispirazioni, visioni e poetica.
Quello con la tecnologia è per Michael Stipe un rapporto ambivalente: lo si intuisce da come si traduce visivamente ma anche da come ne parla durante la lunga conferenza stampa. Sebbene si dica ottimista circa le infinite possibilità di cambiamento che essa può implicare, quando si scende nel dettaglio traspare come non si senta a proprio agio in un’era culturalmente dominata da internet e dai social network. Ha compreso, infatti, che avere un profilo Instagram è un lavoro a tempo pieno che ha già lasciato tre volte. E che dire di Twitter e del modo in cui lo utilizza Donald Trump? Inevitabili le domande sulla musica: definisce i R.E.M. come qualcosa il cui tempo è finito. E a chi si complimenta per il nuovo singolo da solista – “Your Capricious Soul” – sperando in un prossimo disco raccomanda di non trattenere il respiro nell’attesa. Si capisce come preferisca concentrarsi sull’arte e creare, appunto, visual record.
Tra le sue principali fonti di ispirazione a riguardo cita il Noguchi Museum di New York, ma c’è anche posto per l’Italia. Un luogo che ha detto di aver trovare particolarmente stimolante è Santa Maria degli Angeli e dei Martiri alle Terme di Roma: qui, pare, gli siano venute in mente nuove idee per un progetto che vedrà la luce prossimamente.
Del resto, è stato lo stesso Michael Stipe a definirsi uno studente di fotografia prima ancora che un appassionato di musica. Che l’arte sia sempre stata al centro della sua vita risulta chiaro anche guardando la videografia dei R.E.M.: oltre all’ovvio Losing my religion, firmato da Tarsem Singh e decisamente caravaggesco, viene in mente Low. Un geniale e onirico omaggio a La confidence di Elizabeth Jane Gardner, diretto da James Herbert. Pittore, regista, spesso citato come una sorta di mentore sia dal punto di vista artistico sia personale, è stato insegnante d’arte del giovane Michael all’University of Georgia. E, a giudicare da Our Interference Times: a Visual Record, l’allievo ha imparato molto bene la lezione.