Van Gogh, Cézanne, Picasso, Monet, Manet, Kandisnky: si perde il conto dei grandi artisti presenti nella mostra Guggenheim. La collezione Thannhauser, da Van Gogh a Picasso, dal 17 ottobre 2019 all’1 marzo 2020, a Palazzo Reale di Milano.
Con gli occhi pieni delle audaci sperimentazioni moderne e degli ancora più estremi esiti contemporanei, le avanguardie del primo ‘900 appaiono quasi consuete nel nostro immaginario artistico. Cubismo e astrattismo, forse più degli altri, si sono imposti come movimenti rivoluzionari, sia nella storia dell’arte che nella cultura di massa, ridefinendo gusti e prospettive, stimolando riflessioni e confronti. Il loro linguaggio ha definitivamente sgravato la mente dal pensiero razionale e tradizionale che strutturava la visione della realtà. Ma come si è giunti in questo territorio senza confini? Sicuramente non per strappi netti, più probabile per graduali e multiformi passaggi. Lo conferma Palazzo Reale di Milano, il quale mette in mostra gli elementi nodali di questo epocale cambiamento.
A supportarlo è la Solomon R. Guggenheim Foundation di New York, che dopo le prime europee del Guggenheim di Bilbao e dell’Hotel de Caumont di Aix-en-Provence, porta in Italia le opere della collezione Thannhauser. Sorta durante la lunga attività collezionistica e galleristica di Heinrich Thannhauser (1859-1935) e del figlio Justin Kurt Thannhauser (1892-1976), la raccolta è stata poi donata (in varie fasi) dal 1963 in poi all’istituzione americana. Se è inevitabile e giusto assegnare agli artisti un ruolo centrale nella storia dell’arte, ci sono di certo tante altre figure in grado di variarne gli equilibri. Tra questi spetta un posto ai Thannhauser che – muovendosi tra Monaco, Berlino, Lucerna, Parigi e New York – hanno raccolto una vasta collezione che svaria dal tardo impressionismo all’espressionismo, dalle prime avanguardie al cubismo: in poche parole, il sentiero che ha condotto all’astrattismo, vera passione dei coniugi Guggenheim. La mostra Guggenheim. La collezione Thannhauser, da Van Gogh a Picasso, dal 17 ottobre 2019 all’1 marzo 2020, espone 46 di queste opere.
Da Renoir a Picasso (in mostra addirittura 13 opere!), da Manet a Braque, passando per Van Gogh e Cèzanne: le opere di questi grandi artisti sfiorano solamente i vertici della loro produzione, lasciando emergere gli aspetti anticipatori delle avanguardie che andranno a definirsi. Così i volumi calibrati e l’impostazione geometrica di Natura morta: piatto di pesche (Paul Cèzanne) porta con sè il tentativo mai conclusa di interpretare la natura, di sottometterla (vanamente) ad una visione aderente al reale, concreto o ideale che sia. Questa lezione, interpretata da Picasso, costituisce la base della poetica cubista, caratterizzata da un resa geometrica e scomposta della figura umana e dell’ambiente circostante. Il risultato è la moltiplicazione delle prospettive e dell’illusione pittorica di poter cogliere il soggetto, da tutti i suoi angoli, con un solo sguardo. Un assaggio è dato da Aragosta e gatto che, seppur realizzata nel 1965, evidenzia un cubismo embrionale nella due prospettive sovrapposte: infatti, se il gatto è raffigurato di lato, l’aragosta si presenta invece all’osservatore rappresentata dall’alto.
Rimandi e citazioni, muti scambi e dichiarate connessioni legano tutti i dipinti esposti. Così il tenue azzurro di Davanti allo specchio (Eduard Manet) lo ritroviamo carico e tormentato in Montagne a Saint-Rèmy di van Gogh. Qui il valore del colore sconfigge la linea e si insinua nella pratica pittorica come elemento fondamentale, ma allo stesso tempo sensibile a variazioni. Ed ecco la Mucca gialla di Franz Marc, esemplare interpretazione espressionista di un soggetto naturale. Qui la cromia gioca con la percezione e modifica la visione del reale, aprendo all’introspezione e alla ricerca di ciò che non si vede. Questo, insieme alla soffice dissolvenza dell’immagine in Palazzo Ducale visto da San Giorgio Maggiore (Claude Monet), potrebbero aver benissimo ispirato Kandinsky nel suo approdo all’astrattismo. La negazione delle forme o il loro stravolgimento, l’avanzamento del colore e la poetica irreale, sono di certo lascito delle sperimentazioni artistiche che hanno proceduto la celebre intuizione del pittore russo.
Henri Rousseau, Pierre-Auguste Renoir, Henri Matisse, Andrè Derain, Paul Klee e Edgar Degas sono altri dei grandi nomi posti a scambiarsi sguardi e suggestioni, a gettare ponti tra ‘800 e ‘900, a delineare le basi su cui si è costruita al modernità. La mostra incrocia dunque la storia dell’arte a quella dei Thannhauser, coraggiosi galleristi e collezionisti visionari. La loro vicenda è raccontata nel dettaglio in esposizione, che questa malinconica e rappresentativa citazione introduce perfettamente:
“Dopo aver vissuto per cinquecento anni in Germania la mia famiglia è ora estinta. Per questo desidero donare la mia collezione: l’opera di tutta la mia vita trova infine il suo significato”
Justin Thannhauser, ultimo erede della famiglia Thannhauser, 1963
*Vincent Van Gogh, Montagne a Saint-Rémy, Saint-Rémy-de-Provence