Ci vorrà ancora tempo per la consacrazione totale, ma l’ascesa costante degli ultimi anni di Parigi sul mercato (e tutto quello che gravita e ne concerne) è palese. E la sfida con Londra si infiamma. Grazie anche agli avamposti di gallerie come Zwirner (inaugurata ieri al Marais) che nascono e crescono in giro per la Ville (si parla anche di Hauser, Pace e Lévy Gorvy pronti al salto sulla Senna) e una Brexit latente che spinge la corrente del contemporaneo verso la Tour Eiffel. Letteralmente, visto che questa 46esima edizione di FIAC, la storica fiera d’arte moderna e contemporanea di Parigi (dal 17 al 20 ottobre), dal 2021 graviterà all’ombra della Torre su Champ de Mars, in una mega tensostruttura temporanea già soprannominata Grand Palais Ephémère per la transitoria futura somiglianza. Il Grand Palais, sede in cui è tornata dal 2005, si prepara a un vigoroso (invasivo) restyling per esser un favoloso bonbon a cinque cerchi per le Olimpiadi del 2024.
Qualsiasi sede sarà, resta il fatto che (causa incertezza e prevedibili instabilità economiche al di là della Manica) Parigi si candida prepotentemente a capitale europea del mercato dell’arte, non solo come nume del collezionismo europeo (continentale), ma come magnetica luce che balena le proprie mire a livello globale, puntando a calamitare al principio degli Champs Elysées soprattutto buyer d’oltreoceano (nordamericani) e dell’estremo oriente (in vertiginoso aumento). Problematiche più o meno improrogabili da risolvere in casa della Regina a parte, c’è elettricità nell’aria fresca parigina d’autunno (che ha portato pochissimi giorni fa anche la data certa di apertura del nuovo super museo di Pinault da 170 milioni di euro all’ex Borsa il prossimo giugno). Basti sentire (e soprattutto guardare) l’intenso vocio tra gli stand di quest’anno (mai visti corridoi così traboccanti persone alla preview del 16 ottobre), le vendite decisamente importanti (anche a sei zeri) fin dalle primissime battute appena spalancati i battenti di vetro, porfido e ferro (solitamente Fiac si differenziava da Frieze proprio per la minor frenesia compulsiva all’acquisto) del Palais, nonché lo sciamare circostante verso le casa d’aste Artcurial, Christie’s, Sotheby’s e fiere satelliti collaterali.
199 le gallerie quest’anno di FIAC (da 29 paesi), cresce la percentuale di presenze africane, si consolidano le italiane non alla loro maggior prova (l’anno scorso le nostrane facevano decisamente la voce grossa, oggi meno). Scadente, se qualche appunto si può e deve fare, la traversata delle Tuileries costellata da sculture e installazioni della fuori FIAC “hors les murs”. 23 opere più le 5 sventolanti in Place de la Concorde e la mega zucca giallo nera di Kusama cresciuta a Place Vendome. Un calvario divertente, tracciato da sculture tanto brutte e colorate (la maggior parte) quanto inutili (ma che fanno atmosfera e sono molto instagrammabili, questo sì) che ha la sua consequenziale chiosa verso il basso (e l’impellente conato di vomito) nella tremenda mano che coglie tulipani (più ani che tulipani è bene ricordarlo) di Koons accanto al Petit Palais. L’unica nota positiva è che per quanto sia imponente sia anche abbastanza nascosta. Ma sia chiaro: non dovrebbe esistere una cosa del genere a Parigi.
Finiamo la cavalcata di fango godendoci le mostre di El Greco (retrospettiva a fianco la fiera al Grand Palais) e due piccole perle al Petit Palais, Gemito e un Courbet corpo a corpo con Yan-Pei Ming. Fuori, tra i due Palazzi fratelli, sibila meccanicamente l’appiccicosa installazione (Sucre cristal di Vivienne Roubaud) che spara senza sosta enormi filamenti di zucchero (filato) per la gioia di mamme e bambini, accorsi in massa per l’occasione. Sempre fuori, la pioggia a cascata in direzione orizzontale e contraria continua imperterrita. Entriamo.