Parasite, Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, al cinema dal 7 novembre. La lotta di classe non è mai stata così letale
Niente spoiler! Dopo Tarantino ancheBong Joon-ho (Madre, Snowpiercer, Okja) chiede la gentilezza di non rivelare troppo della trama del suo nuovo film: «credo sia la speranza di tutti i registi che il pubblico rimanga con il fiato sospeso a ogni colpo di scena, grande o piccolo, che si sorprenda e venga risucchiato nel film brulicante di emozioni dall’inizio alla fine». Vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2019, dal 7 novembre arriva in sala il nuovo film del regista sudcoreano: Parasite.
I quattro membri della famiglia di Ki-taek sono molto uniti, ma anche molto disoccupati, e hanno davanti a loro un futuro quantomeno incerto: vivono in uno squallido seminterrato, tirando avanti a forza di lavoretti saltuari, mortificanti e mal pagati. La speranza di una buona entrata si accende quando il figlio, Ki-woo, viene raccomandato da un amico, studente in una prestigiosa università, per un lavoro ben pagato come insegnante privato. Per ottenere il lavoro da tutor privato il ragazzo falsificherà diploma e si inventerà una nuova identità. Una volta ottenuto il lavoro, le vite delle due famiglie si troveranno a viaggiare su due binari che non potranno che portare a un inevitabile schianto…
Parasite è una commedia umana, nera – a tratti grottesca – drammatica nella lucidità con cui mette in scena il divario delle classi sociali nella nostra contemporaneità. La trama e le situazioni che mettono in moto la vicenda possono sembrare surreali, ma non più inverosimili di quanto potrebbe capitare di leggere su un giornale o di vedere in programmi come Chi l’ha visto? o Storie maledette. Parasite è un crime, una commedia, un dramma sociale triste e desolato, e al tempo stesso un thriller tesissimo. Potremmo dire una black comedy, per essere riduttivi.
Una lotta di classe messa in moto dal desiderio di una vita normale, di un riscatto sociale. Una famiglia di loser contrapposta a una famiglia di nouveau riche, un mondo di stenti e difficoltà abitato da persone piene di risorse contro un mondo idealmente perfetto abitato invece da persone naïve, che hanno però il potere di definire quali sono, per gli altri, i limiti – i confini – da rispettare; i sobborghi dove la merda esce a spruzzo dal water contro l’élite urbana senza storia e senza cultura.
Parasite racconta la progressiva polarizzazione e le diseguaglianze della società sudcoreana, dove il capitalismo funge da unico motore per la modernizzazzione del paese: si può pensare alle gerarchie di classe come a una reliquia del passato (cose da Gosford Park o Downton Abbey insomma), ma tuttora ci sono linee di separazione tra le classi sociali che non possono essere attraversate. E non solo in Corea. E le classi meno abbiente si dimostrano pronte a tutto per uno spicchio di normalità, anche a sopraffarsi tra loro, mentre ai piani alti regna la più totale noncuranza. Il film descrive – attraverso una storia dall’aspetto flamboyant – i cortocircuiti che si vengono a create quando due classi sociali così distanti tra loro entrano in contatto tra di loro. Quella del regista è una poetica ormai consolidata, tematiche simili erano già state affrontate in Snowpiercer (la lotta di classe) e Okja (il capitalismo), ma in questo caso punta l’obiettivo della sua macchina da presa sull’impossibilità della coesistenza. Il poster italiano lancia uno slogan: «cerca l’intruso», più corretto sarebbe però – come da titolo – «cerca il parassita». Chi vive alle spalle di chi?!
Bong Joon-ho ha realizzato un film magistrale: nero, spietato e impeccabile, a tratti imprevedibile, in cui non punta il dito contro le persone – qualunque sia la loro estrazione sociale – ma critica aspramente un sistema che porta tutti a essere sia vittime che carnefici.