Il prestigioso quotidiano inglese ha stilato una classifica dei venticinque lavori più importanti del nostro secolo, tra scelte inaspettate e coraggiose emerge una chiara visione dietro questa selezione. E al primo posto troviamo un’opera esposta in Italia.
Non è mai semplice stilare delle classifiche, soprattutto quando lo scopo è quello di selezionare il meglio in qualche campo, in relazione a un periodo di tempo o una particolare dote. Lo sanno bene i giornalisti di Rolling Stone che con i loro “The Best” hanno creato clamori e discussioni infinite. Questi listoni, che in fin dei conti rimangono sempre piuttosto arbitrari, hanno tuttavia il merito di creare interesse e dialogo. Ecco quindi che il più importante quotidiano inglese ha deciso di stilare una lista delle opere più rilevanti del XXI secolo.
Scorrendo i nomi degli artisti ma soprattutto prendendo in considerazione le singole opere emerge come siano state selezionate una serie di lavori che messi tutti insieme in un’ideale mostra andrebbero a toccare tutte le tematiche più urgenti e discusse dei nostri tempi. Da Amazon (2016), il sito di e-commerce non la foresta, di Andreas Gursky che raffigura un enorme magazzino di stoccaggio della merce, passando per Looking for a Husband with EU Passport (2000-05) di Tanja Ostojić una “performance” realizzata sfruttando la legislazione europea, fino al The White Album (2018) di Arthur Jafa fresco vincitore del Leone d’Oro alla 58° Biennale di Venezia, che si piazza al diciottesimo posto. Scalando ancora la classifica troviamo Ai Weiwei con Fairytale (2007), Chris Ofili con The Upper Room (2002) e Hito Steyerl con il capolavoro How Not to Be Seen: A Fucking Didactic Educational .MOV File (2013).
Avrebbe meritato almeno il podio lo stupefacente Clock (2010) di Christian Marclay, un video composto da circa 12,000 frammenti di film da cui l’artista ha estratto solo i momenti in cui è inquadrato un orologio. Lungo ventiquattro ore, ogni minuto dell’opera corrisponde al un minuto nella realtà, in perfetta sincronia. La medaglia di bronzo la vince Pierre Huyghe con Untilled (2011-12), realizzato per Documenta 11, un gradino più sopra ecco Jeremy Deller con The Battle of Orgreave (2001), una multimediale rievocazione di un celebre scontro avvenuto a metà degli anni Ottanta tra minatori in sciopero e polizia. Al primo posto troviamo infine Ragnar Kjartansson con The Visitors (2012), esposta nel 2013 a Milano presso Pirelli HangarBicocca. Girata a Rokeby Farm, l’opera si compone di una installazione video a nove canali dove diversi amici dell’artista suonano e cantano ognuno in una stanza diversa una partitura sonora di un brano composto dallo stesso Kjartansson e da Davíð Þór Jónsson. Le parole della canzone scritte dall’ex moglie di Ragnar, Ásdís Sif Gunnarsdóttir, sono una sorta di celebrazione della loro comune sconfitta. Il titolo del lavoro è tratto dall’ultimo album degli Abba, quando la band era ormai sostanzialmente sciolta. L’atmosfera decadente, pregna, intesa e spirituale di questa installazione è una sorta di lungo addio alla giovinezza, all’idealismo, al romanticismo: a una parte di sé stessi.
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