Print Friendly and PDF

Arte e attivismo. Facciamoci delle domande, le acute provocazioni di Yael Bartana in scena a Modena

*
*

Attraverso installazioni video e fotografia, Yael Bartana mette in discussione i meccanismi politici e sociali predominanti, invitandoci a cambiare prospettiva – un’operazione necessaria, oggi più che mai. Cast Off va in scena alla Fondazione Modena Arti Visive fino al 13 aprile 2020.

Ribaltare la prospettiva sulla realtà per sbatterci in faccia questioni su cui troppo raramente siamo portati a riflettere, dosando con disinvoltura provocazione e ironia. In un momento che vede l’Europa e l’Italia affrontare il temuto ritorno dei grandi nazionalismi, in cui predominano logiche contraddittorie e meccanismi sociali paradossali, l’israeliana Yael Bartana (Kfar Yehezkel, Israele, 1970) riflette su temi quali l’identità, il rito,  il concetto di stato-nazione. Lo fa con la personale Cast Off alla Fondazione Modena Arti Visive curata da Chiara Dall’Olio: una mostra composta da sei installazioni video e fotografiche realizzate dall’artista tra il 2006 e il 2017, esempio di un attivismo che trova nell’arte la sua massima espressione.

Yael Bartana, The Recorder Player from Sheikh Jarrah, 2010

Il percorso espositivo si diffonde su due piani di Palazzo Santa Margherita, in cui l’artista ha stravolto la struttura delle sale per consentire la massima fruizione delle opere, secondo un progetto studiato insieme al suo architetto di fiducia (lo stesso che l’aveva affiancata alla Biennale di Venezia nel 2011, in cui Bartana era stata chiamata a rappresentare il Padiglione della Polonia).

Si parte, in una sala semi buia, da The Recorder Player from Sheikh Jarrah, opera video del 2010 che documenta una protesta pacifica: una manifestante contesta l’espulsione di residenti musulmani dai dintorni di Gerusalemme da parte dei coloni ebrei. Una schiera di militari israeliani, la cui umanità è celata dietro un paio di occhiali scuri, sosta compatta lungo una strada. Davanti a loro, la giovane donna innocua suona il flauto dolce ondeggiando avanti e indietro, sfidandone l’apparente imperturbabilità sulle note de L’Internationale. Girato in bianco e nero, riprodotto in rallenty, il film si conclude con la commovente apertura da parte dei militari, che senza proferir parola aprono un varco per far passare la flautista. Segno che cultura, pace e solidarietà sanno far sentire la propria voce senza l’uso di violenza, né il bisogno di gridare alcunché.

Di fronte all’opera, un varco anticipa quel che troveremo nella sala accanto, dando l’impressione di trovarci all’interno di un’abitazione e di guardare fuori dalla finestra, dove sta accadendo qualcosa: piovono oggetti dal cielo.

Yael Bartana, Tashlikh (Cast Off), 2017

Uno spazio completamente buio, più ampio, si apre al visitatore. All’interno, uno schermo proietta Tashlikh (Cast Off), opera che dà il titolo alla mostra: una carrellata in slow motion di oggetti colti nel mezzo di un volo verso il basso. Simboli che appartengono a vittime e carnefici di persecuzioni etniche, genocidi e guerre ci piombano addosso di pari passo alla consapevolezza di quanto siano futili i motivi che spingono gli esseri umani all’odio e alla violenza gli uni verso altri. L’artista ha dilatato il rito del Tashlikh, che letteralmente significa gettar via, un’antica pratica dell’Ebraismo che consiste nel liberarsi dei peccati dell’anno precedente gettando un oggetto simbolico nell’acqua corrente. Con quest’opera, Bartana ci isola in uno spazio in cui sembra impossibile sfuggire alla voce della coscienza. 

Yael Bartana, Summer Camp, 2007

Proseguendo al piano superiore, i toni si fanno più leggeri e ironici. Nella prima sala, un muro posto al centro ci invita a girare intorno a due proiezioni contrapposte, adattando lo sforzo fisico a quello mentale del cambiare prospettiva. Si tratta di Summer Camp/Avodah, opera del 2007 in cui l’artista ha ritratto un gruppo di attivisti del Comitato Israeliano Contro la Demolizione della Case che ricostruisce una casa palestinese distrutta dalle autorità israeliane. L’unico audio presente in sala è quello del film di propaganda Avodah, diretto nel 1935 da Helmar Lerski per esortare gli ebrei a tornare in Patria ed edificare una ideale nazione sionista, proiettato sulla parete opposta. La musica eroica, volta a celebrare il sionista esemplare, conferisce all’azione degli attivisti un ché di ridicolo, portandoci a riflettere sulle contraddizioni intrinseche ad alcune ideologie.

Yael Bartana, True Finn, 2014

Poco più avanti, True Finn racconta la bizzarra vicenda di otto persone residenti in Finlandia ma di etnie, religioni e provenienze diverse: Bartana le riunisce per alcuni giorni in una baita sperduta nella neve, ponendogli una domanda: Chi è il vero finlandese? Con un’estetica e una regia che strizza l’occhio ai reality show (in primis il Grande Fratello), l’opera fa emergere un’inconfutabile verità: il vero finlandese non esiste, così come non esistono i requisiti per appartenere o meno a una terra. Sempre che la terra possa davvero appartenere a qualcuno, e viceversa. In uno spazio più angusto, A declaration (2006) è l’opera con cui Bartana si distacca dal puro documentario per tuffarsi in una totale messa in scena: su uno scoglio nella baia di Jaffa, un uomo sostituisce la bandiera israeliana con una pianta di ulivo, simbolo di pace e al contempo emblema nazionale  sia di Israele che della Palestina. 

Yael Bartana, A declaration, 2006

Accanto, una serie fotografica dal titolo The Missing Negatives of the Sonnefeld Collection, opera in cui Bartana ha ripreso alcune immagini tratte dall’archivio dei due fotogiornalisti Leni e Herbert Sonnenfeld. Questi ultimi hanno documentato la Palestina/Terra di Israele negli anni ’30 e ’40, immortalando personaggi sionisti, contadini, lavoratori e soldati. Al loro posto, in bianco e nero, in tutto e per tutto fedeli agli originali, Bartana ha sostituito giovani modelli arabi ed ebrei arabi. Ancora una volta, una provocazione tagliente che non lascia scampo alla consapevolezza.

Informazioni

Fino al 13 aprile 2020

FMAV – Palazzo Santa Margherita

Mercoledì, giovedì e venerdì 11-13/16-19

Sabato, domenica e festivi 11-19

 

*Yael Bartana, True Finn, 2014

Commenta con Facebook

leave a reply