Nello splendido spazio della Ghisla Art Gallery di Locarno è stata allestita una mostra dedicata al corpo umano con le fotografie di grandi artisti della seconda metà degli anni ’90.
Lo splendido edificio della Ghisla Art Gallery di Locarno, un cubo in cemento armato ricoperto da una rete rossa e un corridoio d’acqua che gli corre tutto intorno e lo separa dall’esterno, ospita al terzo piano la mostra Look at me! Il corpo nell’arte dagli anni ’50 ad oggi. Il corpo è il protagonista di una ricerca fotografica che invita lo spettatore ad ammirare il corpo umano in maniera quasi narcisistica, poiché questo soggetto è il prediletto di molti artisti contemporanei e non. Le due curatrici Angela Modesani e Annamaria Maggi ripropongono un cammino nell’arte contemporanea attraverso il mezzo fotografico, capace non solo di creare immagini di grande eleganza ma a tratti anche molto seducenti. Altre opere invece sono pregne di una ricerca sociale e politica impegnata, altre ancora mostrano la dolcezza dei soggetti coinvolti o i loro desideri più profondi.
Le opere in mostra possono essere inserite in alcune macro-categorie che spaziano da temi politicamente impegnati al rapporto col paesaggio circostante e con il concetto di religione, dai travestimenti alle azioni performative violente o erotiche, chiudendo con lo studio del corpo nella sua evoluzione.
Urs Luthi e Cindy Sherman giocano con il travestimento all’interno delle loro fotografie proponendo un’analisi della società che ci circonda e mettendo in crisi anche il concetto di genere e identità. Marina Abramovic invece diventa protagonista di un’azione performativa, qui raccolta in fotogrammi, di un incontro in un vicolo con Ulay (suo compagno di performance e di vita per molti anni) che culmina in un bacio, un’azione in netto contrasto con la nudità dei due soggetti e col pensiero della società odierna.
Il corpo diventa anche luogo di sperimentazione e analisi dei cambiamenti del corpo negli anni come nei lavori personali di John Coplans e Peter Welz, che fotografa alcune parti del corpo di AA Bronson, segnate da una linea nera che esplora il corpo per capirne la forma e le armonie. Uno studio simile viene affrontato nelle opere di Vito Acconci e Gina Pane: i due fotografi presentano in alcuni fotogrammi parti del corpo sottoposte a esercizi di resistenza estrema o tagli che hanno lo scopo di smuovere i fruitori per toglierli da quello stadio di passività che li contraddistingue e cercare una reazione forte.
Uno dei lati forse più analizzati è quello legato alla sfera sessuale e sensuale del corpo umano, come nelle opere presentate dal fotografo statunitense Robert Mapplethorpe, una celebrazione della perfezione classica, composta da corpi scolpiti in pose estremamente erotiche. Anche per Nobuyoshi Araki la sessualità è alla base delle sue fotografie, che hanno come soggetti donne legate o immortalate dopo un incontro sessuale, mostrando così tutta la naturalezza e l’istinto tipico dell’essere umano. La sensualità viene declinata da Izima Kaoru in fotografie teatrali e armoniose, dove orrore e splendore dialogano delicatamente.
Lo studio del corpo spesso si allaccia anche al tema della natura, da sempre legata all’uomo in maniera primitiva e quasi ancestrale. Diventa il soggetto principale delle fotografie di Ana Mendieta, che lascia sulla terra nuda un segno del suo corpo permettendo poi alla natura di riappropriarsi dello spazio circostante, anche se in maniera parziale. Il fotografo statunitense Spencer Tunick invece propone una performance che vuole sensibilizzare sul tema del surriscaldamento globale chiedendo a centinaia di volontari di posare nudi (con ai piedi solo delle ciabatte) su un ghiacciaio svizzero.
Altri artisti decidono di portare temi impegnati politicamente e socialmente, perché l’arte non è mai veramente slegata dal contesto in cui si sviluppa ma prende a piene mani tutto quello che ruota intorno all’essere umano e lo analizza. È questo il caso della fotografia di Fabio Mauri, in cui la modella “indossa” come unico tratto distintivo una stella di David, o le opere di Shirin Neshat, in cui il corpo della donna, coperto dai versi del corano dipinti sulla pelle, diventa il soggetto perfetto per ragionare sull’inasprimento della condizione della donna, che viene sempre più sottomessa e privata delle sue libertà.
La mostra presenta anche una sezione dedicata al tema religioso, letto in chiave perlopiù provocatoria. Sono un esempio le due opere firmate da Bettina Rheims, dove una suora dai modi lasciavi e sensuali mostra allo spettatore la sua vera natura, e David LaChapelle, in cui un membro della chiesa viene rappresentato seduto su un trono d’oro e attorniato da gioielli e uomini nudi e pieni di lividi, un chiaro richiamo agli scandali relativi alle violenze sessuali all’interno della chiesa.
Andres Serrano decide invece di ragionare su uno dei simboli cardine della religione, presentando una nuova versione della classica Madonna col bambino in cui i ruoli sono assunti da una bellissima donna androgina nuda e da un vecchio che la fissa come se stesse cercando un contatto con lei.
L’allestimento minimalista e le pareti bianche sulle quali sono appese le fotografie diventano un’ottima scelta allestitiva volta a mettere in risalto ogni singola opera. Non è presente una distinzione forzata per tema all’interno del percorso, così da lasciare maggior spazio all’interpretazione di ciascuno. Ogni scatto è stato scelto con cura e si armonizza bene con lo scopo delle due curatrici, dando una panoramica ampia e puntuale riguardo il tema del corpo umano e come viene rappresentato dagli artisti scelti.