Prosegue (fino al 2 febbraio) alle Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma l’esplorazione dell’universo sfaccettato e semisommerso del collezionismo privato e dei suoi intrecci spesso illuminanti e fecondi con le collezioni pubbliche. E’ la volta della collezione “caravaggesca” di Geo Poletti, già proposta – ma con una diversa selezione – la Palazzo Reale di Milano la scorsa primavera.
Ruggero Poletti (Milano 1926 – Lenno, Como 2012) è stato collezionista, esperto d’arte e pittore (allievo di Mario Sironi e grande estimatore di Francis Bacon). La frequentazione di Roberto Longhi lo ha portato ad appassionarsi a Caravaggio ed alla pittura secentesca di matrice caravaggesca italiana e spagnola. Una passione che, a partire dagli anni ’50, ha trovato concretezza nella collezione che oggi – in parte – viene messa a confronto con la quadreria del cardinale Neri Corsini, grandissimo collezionista della Roma settecentesca. Per l’occasione sono visibili alcune opere della Galleria solitamente non esposte al pubblico ed è ospite un quadro proveniente dal Museo Nazionale di Varsavia.
Nella “Camera verde” (così chiamata per il colore dei tessuti che un tempo la rivestivano) ci sorprende per l’originale, lubrica modernità della composizione una Maddalena Penitente di autore anonimo: la teatrale luce caravaggesca sempre protagonista del dramma della vita, e quell’oscurità primordiale e aggressiva che inghiotte la Croce. Una grande sala è dedicata alle Nature morte, sempre di matrice caravaggesca, un genere che Poletti amava collezionare, verosimilmente su istigazione dell’amico Federico Zeri che ha riscoperto e rivalutato il genere pittorico della Natura morta dedicandogli ampi e corposi studi. Seguiamo con inquieto diletto il perimetro della sala. L’oscurità che sempre domina la composizione recede d’improvviso cedendo il proscenio ora ad un vaso di fiori, ora ad un’alzata di agrumi, ora ad una cesta di cacciagione, ora ad un piatto di frutta. L’immobilità del soggetto “morto” esalta per contrasto la vita della luce misteriosa, ineffabile, enigmatica.
Una terza sala è dedicata al confronto fra tre versioni dello stesso ritratto di un Pescivendolo, tutte e tre di attribuzione incerta, dipinte in ambito napoletano intorno alla metà del’600: una appartenente alle Gallerie Nazionali (probabilmente il prototipo), un’altra alla collezione Poletti, la terza è un prestito del Museo Nazionale di Varsavia. Un’ipotesi suggestiva è che si tratti di un ritratto “criptato” di Masaniello, il rivoltoso napoletano sul cui nome sembra fosse caduta, dopo il fallimento della rivolta e la sua uccisione, una sorta di damnatio memoriae.