Giorgio De Chirico è stato anche scrittore e poeta. Proprio i componimenti in versi esemplificano al meglio la sua poetica pittorica: decontestualizzazione, sogno, sfuggevolezza e immobilità possono essere considerate quattro vertebre della spina dorsale metafisica. Proviamo a comprenderne le sfumature prendendo in analisi altrettante poesie.
Visioni i suoi quadri, visioni le sue poesie. Un solido filo metafisico allaccia la celebre produzione pittorica di Giorgio De Chirico e il meno conosciuto lavoro poetico. In generale il rapporto tra arte e letteratura appare vasto e forse poco approfondito, nonostante molti artisti si cimentarono in escursioni testuali tutt’altro che sporadiche. Senza allontanarci troppo dal raggio metafisico, oltre al caso di De Chirico, sono esemplari anche le vicende di Filippo de Pisis e Carlo Carrà, che accostarono con continuità le due declinazioni creative. Questo, oltre alle ovvie connessioni tra le due pratiche, svela la necessità del quadro metafisico di essere approfondito e approcciato da svicolanti vie laterali.
Sotto un velo di apparente realismo e placida aderenza alla realtà – tanto più apprezzata se la pensiamo svilupparsi nelle burrascose sperimentazioni visive di Futurismo e Cubismo -, si cela la complessità di una poetica che solo nei meandri ombrosi della riflessione rivela il suo misterioso e incompiuto messaggio. La poesia può farsi dunque bussola esplorativa nelle piazze larghissime, lume nei portici scuri, voce per i manichini senza bocca. Senza stravolgimenti semantici e pur aderendo al suo linguaggio, la Metafisica riesce in ogni caso a distanziarsi dalla realtà, proponendo una ridistribuzione sintattica straniante ma non immediata. Possiamo immaginare questa poetica come una frase di senso compiuto il cui ordine delle parole viene abilmente confuso, in modo da vanificarne la corretta lettura ma lasciando che un nuovo misterioso significato emerga dal nuovo inusuale accostamento.
La poesia di Giorgio De Chirico si offre dunque come chiave di questi ingranaggi, esplicita dichiarazione delle criptiche traduzioni che lo stesso pensiero andrà ad assumere sul quadro. In poche parole, ogni poesia dell’artista ci aiuta a comprenderne idee e meccanismi mentali. Qui quattro esempi di quattro poesie che esplicitano un concetto fondante della Metafisica.
Decontestualizzazione – L’ora inquietante
Tutte le case sono vuote
risucchiate dal cielo aspiratore
Tutte le piazze deserte.
Tutti i piedistalli vedovi.
Le statue – emigrate in lunghe
carovane di pietra verso porti lontani.
[…]
Ma anche l’immortalità è morta
In quest’ora senza nomi sui quadranti
Del tempo umano.
Che sia rimasto io solo con
un resto di tepore vitale sulla
sommità del cranio?
Che sia rimasto io solo con un palpito
superstite nel cuore che non tace?
Torna beatitudine stanca dei miei anni andati!
Ciò che ho perduto non lo riavrò più mai.
Molti degli elementi cari alla pittura di De Chirico accorrono subito in scena: le piazze deserte, le case silenziose, le statue in lento movimento, il tempo immobile. Ritratti nella loro quotidianità, questi non rinunciano visivamente alla loro veste realistica ma ne alterano le condizioni essenziali di esistenza. Così le casa non ospitano nessuno, le statue si ribellano, in piazza non si vede nulla se non una colonnina di fumo immobile all’orizzonte. Tutto sembra cristallizzato, forse proprio per darci il tempo di osservare attentamente la scena.
L’accostamento inusuale di queste semplici componenti ne accendono misteriosi e improvvisi rapporti che prima passavano inosservati, ma ora lentamente si rendono impossibili da ignorare. Così, decontestualizzandoli e ricomponendoli in un ordine nuovo, De Chirico ci costringe a soffermarci su ogni oggetto, a ripensare la sua funzione, a riflettere sulle sue possibilità semantiche. Nell’inedita messa in scena possiamo riscoprire lo spirito di ogni cosa, approcciarlo con il mistero e la sorpresa che accompagna il non-conosciuto. La decontestualizzazione conduce così alla riflessione, la quale apre al mistero, generatore di arte e di sorpresa.
Sogno – Una vita
Vita, vita, grande sogno misterioso! Tutti gli enigmi
che mostri; gioie e lampi… Visioni presentite… / […]
Portici al sole. Statue addormentate. / Ciminiere
rosse; nostalgie d’orizzonti sconosciuti… / E l’enigma
della scuola, e la prigione e la caserma; e la
locomotiva che fischia la notte sotto la volta
ghiacciata e le stelle. / Sempre l’ignoto; il risveglio al
mattino e il sogno che abbiamo fatto, oscuro
presagio, oracolo misterioso…
E qual è il luogo per eccellenza dove gli elementi del quotidiano si ricompongono dando vita ad una nuova e significativa realtà immaginaria? Ovviamente il mondo dei sogni. La poetica metafisica si configura quindi come un luogo di passaggio, un bilico, un confine, una soglia dove le cose già sono ma potrebbero anche essere altro. La dimensione onirica offre la possibilità a chi vi entra di cambiare la propria natura, di riscrivere il proprio destino limando i contatti con la realtà. Tutto è così chiaro e confuso, verosimile e impossibile, sensibile e irraggiungibile. Nel paradosso del sogno la Metafisica trova il suo grado di imprevedibilità, le sua capacità di mutuare dal mondo le sue componenti e di ricostruirle in uno spazio che, nonostante si situi proprio nella tua testa, non esiste.
Sfuggevolezza – Visione
Case sulle piazze,
case in capo al mondo
al vicino orizzonte
dei nostri lontani desii
amici veniste una sera
in cui ad ogni momento
la speme fuggiva davanti
alle nostre mani che invano
tentavano di fermarla
e noi pensavamo
alle bianche acropoli
ove il poeta si esalta
e s’inginocchia.
Roma, 20 maggio 1973
Come negli attimi successivi al risveglio spesso dimentichiamo il sogno fatto poco prima, allo stesso modo il significato metafisico sfugge proprio nel momento in cui sembra di averlo colto. Se il mondo così com’è conserva troppa logica per poter trasmettere il suo senso unico, liberandosi della razionalità siamo costretti a percepirne il messaggio come si percepisce un brezza improvvisa, una scintilla fugace, un movimento involontario. Allo stesso modo del poeta che si presenta al cospetto dell’acropoli, dopo un momento di esaltazione non abbiamo altra scelta che arrenderci – e inginocchiarci – nel modo in cui si cedono le armi di fronte ad un mistero che può solo suggerire. Ma per quanto la “speme”, la speranza, sembri fuggire da noi nel momento in cui con la mano la stiamo per afferrare, solo nella piazza metafisica possiamo avere l’illusoria consolazione di intravedere, all’orizzonte, i “nostri lontani desii”.
Immobilità – Epodo
Torna o mia prima felicità!
La gioia abita le strane città,
Le nuove magie son scese sulla terra.
Città dei sogni insognati,
Costrutte da demoni con santa pazienza,
Voi, fedele, canterò!
Un dì sarò anch’io uomo di sasso,
Sposo vedovo sul sarcofago etrusco.
Quel giorno, materne, stringetemi
Nell’abbraccio vostro grande, di pietra.
Ferrara 1917
Però l’artista non riesce a farsene una ragione. Quella verità che sembrava così a portata non può essere già sfuggita, non può aver ripreso subito in flusso incontrollabile dei sogni. C’è ancora qui la sua scia, il suo ricordo, la sua malinconia. Per questo la “prima felicità” abita la “città dei sogni insognati”, dove l’illusione non corre ma permane, fissata in una mancanza di azione che consente di apprezzarla, di analizzarne le sfaccettature. Immagina così di unirsi anche lui al concerto di strumenti immobili della piazza metafisica, dove nulla si muove e tutto è sospeso. Se la verità è in un battito di ciglia, non rimane che catturare quell’attimo. E cos’è l’infinito se non un istante interminabile?