L’opera di Cristina Donati Meyer dedicata a Silvia Romano si è trasformata in un vespaio di polemiche: ecco cosa è successo. Alla fine tutto è stato chiarito ma per il lieto fine, attendiamo la liberazione della giovane volontaria milanese.
In un’asettica galleria non sarebbe mai successo e nemmeno in un blindatissimo museo. Tutto codificato e catalogato in una rassicurante calma un po’ patinata (a meno che l’artista non sia Cattelan, ben inteso). Ci riferiamo al nostro recente articolo sul murale di Cristina Donati Meyer intitolato ‘Riportala a casa!’ ( lo potete leggere QUI) e all’acceso dibattito che ha suscitato tra i lettori e perfino tra gli addetti ai lavori.
Nel murale realizzato in zona Piazza Porta Genova a Milano la cosiddetta artivista -come ama definirsi la stessa Meyer- ha rappresentato il Premier Giuseppe Conte che riporta a casa, mano nella mano, la giovane volontaria milanese Silvia Romano, da oltre un anno nelle mani dei suoi rapitori.
Il lavoro ha suscitato una serie di polemiche non solo per lo stesso soggetto dell’opera che tratta un argomento molto dedicato e pone mano nella mano due significati e significanti molto diversi -e questo era prevedibile- ma anche per una sorta di ‘mistero’ legato alla sparizione di una precedente opera proprio sotto il murale della Meyer.
Il particolare che ha fatto detonare la polemica è l’autore di quel murale, l’artista di caratura internazionale Ozmo, ossia, uno degli street artist (ma sarebbe meglio togliere la parola “street”) più (ri)conosciuti al mondo con tanto di voce Treccani dedicata, il primo ad entrare con una sua opera al Museo del Novecento di Milano.
Il murale vandalizzato -un poster- riprendeva (in miniatura) uno dei lavori più importanti dello street artist. Ci riferiamo all’opera intitolata ‘Voi valete più di molti passeri!” realizzato sulla facciata della terrazza del Macro di Roma nel 2012. Il titolo si riferisce alle parole del Maestro nel Vangelo di Matteo «Nemmeno uno di essi [dei passeri] cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!» (Matteo, 10, 29-30) – E sì che si era domandato un momento prima che cosa valgono mai due passeri? «Non si vendono forse per un soldo?» (10, 29).
Un’opera monumentale di 20 metri di altezza ricca di rimandi, aperte interpretazioni e quell’irriverenza che distingue il decorativismo dall’opera di street art. Il murale si ispira a una stampa satirica dell’Ottocento che a sua volta riprende lo schema politico e sociale piramidale della civiltà egizia. I millenni passano, gli schemi piramidali no, evidentemente.
Non ci soffermeremo sulll’interpretazione del lavoro, lasciata in sospeso dallo stesso street artist:
“L’osservatore, attraverso un sistema di rimandi, citazioni e simboli grafici, dovrà proiettare se stesso, le proprie aspettative, pregiudizi, desideri e paure, dentro l’opera”.
Tornando alla questione del dibattito suscitato dal nostro articolo sul lavoro di Cristina Donati Meyer dedicato a Silvia Romano, c’è chi ha accusato l’artista milanese di aver distrutto l’opera di Ozmo per per poter affiggere la sua opera, tanto che la stessa artista ha poi inviato alla nostra redazione una sua dichiarazione dove si dice del tutto estranea alla vicenda:
“Il 26 settembre ci trovavamo in piazza di Porta Genova per affiggere la mia opera “La nostra casa si scioglie”. Con noi era presente anche lo storico fotografo dell’Agenzia fotografica Fotogramma, Maurizio Maule. Abbiamo notato l’angolo con il muro di mattoni bianco, ma era già affissa una bella opera di Ozmo. Abbiamo quindi deciso di affiggere la mia opera poco distante, sul muro di cinta di Via Valenza. Evidentemente, dopo oltre due mesi, qualcuno ha vandalizzato l’opera di Ozmo. Fatto sta che, tornati in Porta Genova per affiggere l’opera su Silvia Romano, quel muro di mattoni bianco nella nicchia, era libero. Restava solo un piccolo lembo in alto con una scritta (una parola). Trovando il muro libero, questa volta, abbiamo affisso l’opera. Questi sono i fatti. Le mie opere sono state ripetutamente vandalizzate. So bene cosa significhi vedersi vandalizzare o “crossare” opere costate passione e fatica e non mi permetterei mai di farlo a mia volta a danno di altri “colleghi” di arte pubblica”.
Ovviamente abbiamo contattato anche Ozmo che inizialmente ha manifestato qualche perplessità -considerato che fino a qualche giorno fa riceveva ancora tag su instagram dell’opera da parte dei suoi ammiratori- ma deciso a chiudere in fretta la polemica anche in relazione al soggetto dell’opera al centro delle polemiche. Su Silvia, sulla necessità di fare luce sulla sua vicenda, sembrano essere tutti d’accordo e questa è la cosa più importante.
In un museo non sarebbe successo. Ecco ci riferivamo a tutto questo. Alle polemiche, ai confronti anche accesi, insomma al caos creativo che solo l’arte di strada può generare. La street art, è effimera per sua natura e riprende poeticamente la labilità di tutte le costruzioni umane ma è in grado di veicolare, come poche forme d’arte, messaggi che rimangono nel tempo. Oggi più che mai grazie al tam tam dei social che fa sopravvivere le opere anche dopo la loro distruzione. E se tutto questo ha generato un piccolo faro in favore di Silvia Romano, allora non tutto è perduto nel poster strappato di Ozmo.
A fine giornata, una telefonata chiarificatrice tra i due artisti. E la successiva dichiarazione di Ozmo che trasforma il caos generato dal poster rimosso, in un’occasione per riflettere:
“Cerchiamo di essere costruttivi e di coesistere in strada nel rispetto di tutti. Spero che questa polemica ci abbia fatto tutti riflettere, sfogare e crescere”.
Insomma, tutto è bene quel che finisce bene ma per parlare di lieto fine, aspettiamo la liberazione di Silvia.