Bianco e nero, soggetti sfocati, contrasti esasperati. Come flash di un misterioso viaggio onirico, gli scatti agresti di Mario Giacomelli incidono sulla carta le linee sinuose dei campi arati. Alla MAAB Gallery di Milano, fino al 21 febbraio 2020.
Noto in tutto il mondo per Il bambino di Scanno (1957), che in un’atmosfera fiabesca ritrae quattro donne in nero sfocate e un unico soggetto centrale messo a fuoco, un ragazzino con le mani in tasca, nel corso della sua carriera Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000) non ha mai smesso di sperimentare attraverso il mezzo fotografico, inseguendo i fantasmi intangibili e invisibili celati dietro una realtà che è soltanto apparenza. Fino al 21 febbraio 2020, la MAAB Gallery di Milano ospita la mostra Mario Giacomelli: una selezione di fotografie dell’autore marchigiano incentrate sul tema del paesaggio agreste, da vedute aeree a volo d’uccello di campi arati a specchi d’acqua e morbide colline della zona di Sassoferrato, in Provincia di Ancona.
Mario Giacomelli si dedica alla fotografia a partire dal 1953, dopo aver lavorato a lungo come tipografo, mestiere che gli permette di sviluppare una forte sensibilità per l’immagine e una dimestichezza con la fase di stampa estremamente evidente nei suoi lavori. Tutto ha inizio con una Bencini Comet S (CMF), modello del 1950, con cui l’allora tipografo inizia a fotografare amici e parenti in situazioni quotidiane, facendosi pian piano conoscere attraverso concorsi e successive pubblicazioni.
Sin da subito, la sua firma appare inconfondibile, personalizzata da una drammaturgia fotografica appena ancorata al reale e un costante tentativo di afferrare i fantasmi immaginativi degli oggetti presi in esame, come ossessionato da un arcano inspiegabile che trascende il reale. Nei suoi scatti, contrasti dinamici e chiaroscurali accentuati in camera oscura, bianchi che scompaiono e neri che si fanno più intensi che mai, una grana vigorosa e materica e un sapiente utilizzo del fuoco convergono a creare atmosfere oniriche e fiabesche.
Sulle pareti immacolate della galleria meneghina, le fotografie agresti di Giacomelli si staccano dai muri, conturbando e attirando l’occhio dell’osservatore verso immagini che sembrano più dipinti astratti che semplici scatti. Come graffi calcati da una penna a sfera, le linee sinuose dei campi arati si delineano in un gioco continuo di collisione tra luci e ombre, restituendo una sensazione di ruvido e sabbioso. I campi aridi ricordano facilmente i cretti di Burri, di cui l’autore fu amico, unito a lui anche da vicinanza formale. Talvolta i soggetti sono quasi irriconoscibili e necessitano di una lunga osservazione per delinearsi in quanto componenti della realtà nella mente dell’osservatore. E se alcune forme disegnate sui campi appaiono talvolta bizzarre e impossibili, è perché capitava che Giacomelli dirigesse i percorsi dei trattori di contadini amici sulla terra per modificare il territorio a suo piacimento.
Io credo all’astrattismo, per me l’astrazione è un modo di avvicinarsi ancora di più alla realtà. Non mi interessa tanto documentare quello che accade, quanto passare dentro a quello che accade.
Informazioni
Fino al 21 febbraio 2020
MAAB Gallery, via Nerino 3, Milano
Dal lunedì al venerdì 10:30-18:00
*Mario Giacomelli, Presa di coscienza sulla natura, 1976-85