In libreria Anestesia di solitudini. Il cinema di Yorgos Lanthimos nella prima monografia italiana dedicata al regista che ha rilanciato il cinema greco nel mondo
Quella del nuovo cinema greco, silenzioso e deflagrante allo stesso tempo, è al tempo stesso una scuola e una poetica: nata ai tempi della crisi più nera, la new wave greca ha trovato autori pronti a portare sullo schermo disagio dilaniante ed esistenze alienate, solitarie e allucinate. Le storie portate sul grande schermo con zero budget sono gelide e palpitanti di violenza, i protagonisti spesso non hanno nomi, solo ruoli.
Ricordiamo Interruption di Yorgos Zois (2016), Luton di Michalis Konstantatos, Miss Violence di Alexandros Avranas (2013), Attenberg di Athina Tsangari (2015) e Wasted Youth di Argyris Papadimitropoulos. Il nome di punta resta però quello di Yorgos Lanthimos, che dalla crisi più nera di una Grecia in banca rotta ha saputo, festival dopo festival, arrivare fino agli Oscar ed essere riconosciuto come nuovo autore di punta di un’intera generazione di registi.
Il suo esordio sul grande schermo, Kinetta (2005), avviene a Berlino sotto il segno di una produzione indipendente e senza budget, il suo film più recente, La Favorita (2018), gli dà fama mondiale presso il grande pubblico, 10 nomination e una statuetta conquistata agli Oscar (Olivia Colman miglior attrice protagonista). Nel mezzo Cannes (Dogtooth, 2009), Venezia (Alps, 2011) e poi di nuovo Cannes (in concorso con The Lobster, 2015, e il Sacrificio del cervo sacro, 2017). Lanthimos nel corso della sua inarrestabile ascesa è riuscito a imporsi come autore e come brand.
Anestesia di solitudini, a cura di Roberto Lasagna e Benedetta Pallavidino (edito da Mimesis), ci accompagna nel mondo di questo cineasta, sperimentale e controcorrente, ma sempre esteticamente ineccepibile. È la prima monografia dedicata Lanthimos e si pone come punto di rifermento per far ordine nella sua poetica potentissima e disturbante.
Nel cinema del regista greco si rincorrono, di pellicola in pellicola, personaggi (più che persone, spesso) che fanno dell’oppressione il loro valore principale: quello della sopraffazione è diventato un rito sociale con regole precise e crudeli, l’orizzonte è arido; il linguaggio è un mezzo di manipolazione e distorsione, luogo di violenza (non solo psicologica). L’ossessione dl controllo riguarda sia il corpo altrui che le proprie azioni, in una spirala autodistruttiva di solitudine e prevaricazione.
>> I film di Lanthimos seguono un percorso, estetico e formale, che ricorda la coerenza e la lucidità (ovvero la programmaticità) di cineasti come Kubrick (La Favorita non per nulla, anche se in maniera molto semplicistica, è stato accolto come nuovo Barry Lyndon), Cronenberg, Hanake e Tarkovskji.
In Anestesia di solitudini troviamo l’analisi di tutti i suoi lungometraggi e del suo ultimo corto, Nimic (2019), breve ma affilatissimo. Grazie a questa panoramica è possibile cogliere come l’importanza della sua cinematografia non è stata solo quella dell’aver portato alla luce – grazie a un immaginario silente ma deflagrante – la crudeltà che ha accompagnato la crisi greca, ma anche quella di sbloccare un’intera generazione di registi, riportando la luce sul cinema greco che da tempo non vedeva nuovi talenti.
Lanthimos si è fatto voce della desolazione industriale e urbanistica, dando forma a un dissenso culturale che ha riportato l’attenzione della critica sul cinema greco dopo tempo immemore. La Grecia torna così ad apparire come un laboratorio brulicante di cultura sentimentale e sessuale che fa fronte al baratro con un mix di angoscia e apatia. Una guida nel mondo di un regista che ha saputo produrre pellicole dolorose ma necessarie, voce di un vero e proprio rinascimento culturale.