Nato in Giappone ma vissuto a lungo in Italia, lo scultore Hidetoshi Nagasawa è stato in grado di far dialogare in modo eccellente la cultura orientale e quella occidentale. Palazzo Reale di Napoli gli dedica la mostra Sotto il cielo e sopra la terra, visitabile fino al 10 marzo 2020.
Dopo l’installazione dello scorso anno di Uemon Ikeda (Kobe, 1952) che con il suo fragile filo rosso creò una struttura aerea che avviluppò l’architettura dell’edificio borbonico, il Palazzo Reale di Napoli incontra nuovamente l’arte orientale con una mostra dal titolo Sotto il cielo e sopra la terra, curata da Anna Imponente e dedicata al grande artista giapponese Hidetoshi Nagasawa (Tonei, Manciuria, 1940 – Ponderano, Biella, 2018), fino al 10 marzo 2020.
Scultore tra i più noti a livello internazionale, l’artista arrivò in Italia a ventisette anni, dove ha trascorso il resto della sua vita. Egli seppe far dialogare la cultura occidentale e quella orientale, da quel viaggio di iniziazione in bicicletta durato un anno e mezzo che intraprese nel 1966 dal Giappone all’Italia, attraverso l’Asia, la Turchia, passando per Brindisi e raggiungendo Milano. Questa esperienza è stata il fulcro artistico e filosofico delle sue creazioni e ponte tra le culture. In una delle sue ultime e rare interviste l’artista dichiarò: “per capire una cultura ce ne vuole sempre un’altra”.
L’esposizione porta all’attenzione del pubblico la capacità di Nagasawa di creare opere in perfetta armonia con il tutto, in cui l’idea di sospensione e il senso di galleggiamento nello spazio acquisiscono centralità. Il principio antigravitazionale è evidente nelle grandi sculture esposte: nella corte d’onore, il maestoso Pozzo nel cielo (1995-2014), a seguire Barca (1983-1988) di ottone e carta si aggrappa alle pareti dello Scalone monumentale di accesso, il Groviglio di quanta (2014) e Matteo Ricci, (2010), composta da otto elementi in marmo di Carrara e acciaio adagiati a terra.
Sono opere in cui il ferro e la roccia calcare creano un gioco di incastri apparentemente vacillanti. Le installazioni si appoggiano con improbabili equilibri, vivono nello spazio con forza e leggerezza, dove la solidità dei materiali e la geometria caotica delle forme si contrappongono all’ambiente circostante.
Pozzo nel cielo (1999-2014) rappresenta l’idea di plasticità, in cui le forme tridimensionali della scultura entrano in relazione con lo spazio. Una prima versione dell’opera fu realizzata per il CAMUSAC, Museo d’Arte Contemporanea di Cassino, in occasione del convegno Arte e Città del 1999. Questa installazione è parte di una serie dello stesso tema inaugurata nel 1980-81, una struttura in bronzo, travertino e rame che apre alla cavità della terra e dell’acqua, oggi nella collezione del National Museum of Modern Art di Osaka, con il quale l’artista pone in evidenza il concetto di vuoto che, in questo caso, si crea all’interno e all’esterno della scultura.
Essa esalta le capacità materiche del ferro spingendolo ad imporsi nel silenzio del luogo in un gioco di perfetti equilibri. I quattro bracci adagiati su basi di marmo si tendono nello spazio, tracciando linee sghembe intersecanti e convergenti che amplificano il senso di instabilità e precarietà. Come vettori, segnano un campo di azione, definendo flussi di energia e un centro gravitazionale. La materia tesa sfida il senso di gravità, l’attrazione verso il basso, fissandosi in un equilibrio compiuto nello spazio. L’architettura delle travi apre ad una dimensione di vuoti e di pieni, visibili e invisibili, al cielo, all’aria e allo spazio cosmico. Ed è in quella intersezione di linee e nella trama sottile della rete al centro del pozzo che sembra potersi adagiare l’universo.
Barca (1983-1988) è una scultura dalle forme essenziali e può essere vista come un disegno tridimensionale a “filo di ottone”, un puro segno che appare quale sottile sagoma della forma galleggiante nello spazio. Con quest’opera l’artista mette in discussione il concetto di pieno e di vuoto, di interno ed esterno: “la struttura non deve avere posto, né concetto, né tempo, deve stare in aria”. Mezzo fisico e al tempo stesso metaforico del viaggio, incarna il concetto e l’idea del migrare e dello spostamento, l’intraprendere un percorso non sempre definito, come quello di Nagasawa dall’Asia all’Italia. Quest’opera ancorata alla parete, fluttuante nel vuoto, rinuncia alla sua funzione fisica per assolvere quella simbolica del cammino interiore, mentale, quale immagine traslata del percorso della vita alla scoperta di sé stessi.
L’opera intitolata Matteo Ricci (2010) prende il nome dal sapiente gesuita, matematico, cartografo e sinologo italiano, vissuto nella seconda metà del 1500 e precursore delle relazioni tra Oriente e Occidente. E’ una grande croce composta da otto elementi in marmo e acciaio, intrecciati gli uni agli altri e appoggiati a terra in modo apparentemente casuale, quale citazione colta al gioco dello Shanghai. Ciascun braccio della croce, che volge verso i quattro punti cardinali, poggia a terra, ma allo stesso tempo tende verso l’alto, rappresentando il legame fra cielo e terra.
Groviglio di quanta (2014) è stata realizzata in occasione di Caos vacilla, la mostra personale dell’artista al CAMUSAC, Museo d’Arte Contemporanea di Cassino nel 2014 e pone l’attenzione sull’importanza dello spazio architettonico quale luogo e recinto sacro. La scultura nasce dalla sovrapposizione di tre parallelepipedi con cui Nagasawa crea una variazione e un ritmo cromatico tra la base metallica ossidata e la bianca verticalità della pietra. Totemica, la scultura svetta verso l’alto, a memoria di antiche colonne e obelischi. Al contrario dell’imperturbabilità dell’architettura classica, la colonna assume volontariamente un aspetto precario. Il blocco di marmo posto più in alto, si inclina, quasi a volersi distaccare dal resto del corpo, come se fosse in procinto di cadere o di gettarsi nell’oblio. Ne deriva una attitudine alla relazione con il vuoto, al Ma della filosofia giapponese, quale intervallo, pausa tra elementi e corpi, luogo metafisico del tempo sospeso, capace di creare un vuoto pieno e denso. La staticità della scultura si palesa nell’intenzione al movimento, in quell’istante bloccato, fisso e immobile. In questo moto discendente, sospeso in un momento infinito, l’artista pone in perfetto equilibrio la potenza e la gravità della materia, con la sua stessa leggerezza e levità, suggellando ancora una volta il legame tra terra e cielo.
In mostra ci sono anche una selezione di opere grafiche in cera e carboncino che configurano galassie e paesaggi, e riecheggiano dell’idea di uno spazio delimitato e concluso tipico dei giardini orientali.