Nel centenario della morte di Modigliani, tornano d’attualità i ricordi della poetessa russa Achmatova, legata all’artista da una breve ma intensa relazione intellettuale e passionale
La natura indelebile del mito è la lontananza. Amedeo Modigliani (1884 – 1920) non ha conseguito in vita la meritata affermazione della sua arte, né ha potuto assistere al successo delle sue opere, né diventare artista degno di ammirazione. Ma forse ha avuto il privilegio di riuscire postumo a se stesso. Postumi infatti furono i consensi, postumi i meriti e i giudizi estetici della critica ufficiale che, solo dopo aver reso indifferenza ed incomprensione, interpretava l’originalità e l’importanza dell’artista. All’uomo precedeva il mito, evocato per suggestione della memoria di una vita difficile e tormentata, di un destino infelice, di un’esistenza maledetta segnata da vizi ed eccessi.
A Parigi, dove giunge nel gennaio del 1906, Modigliani vive un’avventurosa stagione bohémienne, rovinata dalla frequente mancanza di denaro, spesso speso in alcool e hashish. La sua produzione artistica si concentra in numerosi ritratti che però restano quasi sempre invenduti, perché nessuno sembra interessato al suo lavoro; solo con qualche “dessin à boire” (disegni realizzati negli abituali caffè che frequenta e assunti a merce di scambio) ottiene a volte ricompense.
È un artista eccentrico, raffinato e scostante, isolato e volutamente lontano dalle avanguardie. Modigliani è solo. Non ha radici, non è più tanto italiano, quanto parigino. È solo nel luogo delle sue idee, in un tempo senza tempo, indipendente dal tempo della storia, appartenente al tempo del mito. Le sue opere rivelano una grazia appropriata e intuitivamente poetica, un sentimento interiore che dipinge sulla tela un’atmosfera calda e malinconica di intenso lirismo. Testimoniano un’eleganza e una nobiltà misteriose, imprevedibili ed indefinibili. La sua immediatezza espressiva possiede una letteraria, commovente, rarefatta, sinuosa e ricercata magia che affattura i sensi.
Nell’aprile del 1917 conosce Jeanne Hébuterne, figura fondamentale che lo accompagnerà oltre l’irrimediabilmente sfrenato stile di vita, diventerà compagna e musa per oltre venticinque ritratti, nei quali si coglie una corposità quasi impalpabile, leggera ed angelica. Tragicamente la grazia e la delicatezza appaiono contemporaneamente al brusco declino esistenziale di Modigliani; la miseria, l’alcool e la droga alimentano profondamente il disordine e l’irrequietezza delle sue scelte. Senza la retorica di una biografia romanzata, passionale e disperata, si racconta che la vita di Modigliani fu rovinata dalla paura di essere un fallito e si ricordano alcuni episodi emblematici. Modì che scappa all’inaugurazione della sua mostra, che getta i soldi nella Senna, che rifiuta un appuntamento con un importante mercante d’arte americano dicendo: “Io non ho appuntamento con nessuno”. Pittore istintivo e contraddittorio, “maudit”, seduttore suscettibile, impaziente egocentrico, autore di una sensualità vibrante consumata nell’ardore e nella sregolatezza della sua breve vita.
In qualche modo lo intuì Anna Achmatova, la poetessa russa con la quale instaurò un’intensa relazione intellettuale ed affettiva nel 1910. E a documento di questo legame esiste un volume, “Amedeo Modigliani e altri scritti”, pubblicato nel 2004 dalla Casa Editrice SE di Milano.
Spesso la memoria dell’amore è più forte e più viva di qualsiasi dichiarazione critica. “Probabilmente io e lui non si capiva una cosa fondamentale: tutto quello che avveniva era per noi la preistoria della nostra vita: la sua molto breve, la mia molto lunga. Il respiro dell’arte non aveva ancora bruciato, trasformato queste due esistenze e quella doveva essere l’ora lieve e luminosa che precede l’aurora. Ma il futuro che com’è noto, getta la sua ombra prima di attuarsi, batteva alla finestra, si nascondeva dietro i lampioni, intersecava i sogni e spaventava con la terribile Parigi baudelairiana che si nascondeva in qualche posto, lì accanto. E tutto il divino scintillava in Modigliani solo attraverso una tenebra. Era diverso, del tutto diverso da chiunque al mondo….”.
Testimone delle sue influenze culturali: “Si occupava di scultura, lavorava in un cortile vicino al suo atelier… le pareti del suo laboratorio erano ricoperte da ritratti di incredibile lunghezza (dal pavimento al soffitto)... In quel tempo Modigliani sognava l’Egitto, mi portò al Louvre perché visitassi la sezione egizia… disegnò la mia testa in acconciatura di regina egizia…”.
Sul suo operato lo scultore statunitense Jacob Epstein rivela una curiosità: “Modigliani di notte sistemava delle candele in cima a ogni scultura: l’effetto era quello di un tempio primitivo”. In un altro passo, nostalgico ed illuminato da una indimenticabile complicità sincera, la poetessa rivive i suoi incontri con Modigliani: “Mi portava a vedere la vieux Paris derrière le Panthéon, di notte, quando c’era la luna.
“Conosceva bene la città… amava errare per Parigi di notte e spesso ascoltando i suoi passi nel silenzio assonnato della via mi avvicinavo alla finestra e attraverso la gelosia seguivo la sua ombra che indugiava sotto le mie finestre. Ciò che era allora Parigi già all’inizio degli anni Venti si chiamava ‘vieux Paris e Paris d’avant guerre’…”.
“Fu lui a farmi conoscere la vera Parigi… Quando c’era la pioggia (a Parigi piove spesso) Modigliani camminava con un enorme ombrello nero molto vecchio. Talvolta sedevamo sotto questo ombrello su una panchina del Giardino del Lussemburgo, pioveva, una calda pioggia estiva, vicino sonnecchiava le vieux palais à l’italienne, e noi a due voci recitavamo Verlaine che tanto amavamo e sapevamo a memoria, felici di ricordare le stesse poesie…”
“Una volta non fummo chiari nel darci appuntamento, ed io passando da lui non lo trovai a casa. Decisi allora di aspettarlo qualche minuto. Tenevo tra le braccia un mazzo di rose rosse. La finestra sulle porte chiuse del laboratorio era aperta. Non sapendo che fare mi misi a gettare rose nell’atelier. Poi, senza aspettare Modigliani, me ne andai. Quando ci incontrammo egli mi manifestò il suo stupore, come avevo potuto penetrare nella stanza chiusa se la chiave l’aveva lui? Gli spiegai quello che avevo fatto. ‘Non è possibile, erano sparse per terra così bene!!’”.
Anna Achmatova parla di una collezione privata di ritratti a lei dedicati: “Mi disegnava non dalla natura ma a casa mia e questi disegni me li regalava. Ne ho avuti sedici…”. “Negli anni convinta che un tale artista dovesse esser celebre, brillante, chiedevo di Modigliani a coloro che tornavano da Parigi. La risposta era sempre la stessa: non lo conosciamo, non ne abbiamo sentito parlare”. “Per molto tempo mi parve che non avrei sentito altro di lui… e invece sentii molte altre cose…”.
“Quando facevo parte della direzione dell’Unione degli Scrittori, Aleksandr Nikolaevič Tichonov riceveva molte riviste e libri stranieri, qualcuno, durante una riunione, mi passò il numero di una rivista d’arte francese. L’aprii… Una fotografia di Modigliani… una croce… un grande articolo tipo necrologio… Seppi dall’articolo che egli era un grande artista del XX° secolo (ricordo che veniva, in quell’articolo, paragonato a Botticelli), che su di lui c’erano molte monografie inglesi ed italiane...”. “Sempre circondato da un compatto anello di solitudine… ripeteva sempre: ‘On communique’. Spesso diceva: ‘Il n’y a que vous pour réaliser cela’”.
Rita Bompadre