Archeologiche concrezioni di ceramica in smalto con moderni microchip incastonati. Frammenti argillosi intervallati da comode postazioni video concepite come salottini su cui stazionare. Oggetti che abitano gli ampi spazi di Pirelli HangarBicocca. “The eye, the eye and the ear” è la prima esposizione istituzionale in Italia di Trisha Baga (Venice, Florida, 1985), americana di origini filippine e tra le artiste e videomaker più innovative della sua generazione.
La Baga combina linguaggi e media differenti attingendo dall’immaginario televisivo, da quello cinematografico e da filmati amatoriali che spesso la vedono attrice protagonista, per trattare temi come l’identità di genere, il rapporto tra il mondo reale e quello digitale e l’evoluzione tecnologica, dando la sua visione di contemporaneità. Attraverso esercizi di autoriflessione sul corpo e sul linguaggio, Baga sostituisce progressivamente il proprio corpo con oggetti trovati o manipolati e che divengono parte delle sue installazioni. Per questa operazione riesuma frammenti della cultura pop, humor e forme contemporanee di comunicazione, chiamando in causa la cantante Madonna, la drag queen RuPaul e vecchie sitcom televisive.
Il medium privilegiato dall’artista sono i video in 3D in cui proietta frammenti visivi e sonori stratificati e nei quali mixa elementi consolidati della cultura di massa. “There’s No “I” in Trisha” (2005-2007) è una delle cinque installazioni video concepita come una sitcom televisiva in cui l’artista, attrice e interprete di tutti i ruoli, gioca con gli stereotipi di genere. Baga ricrea un salotto negli spazi di Hangar, con tanto di divani, poltrone, tappeto, attaccapanni. In tv un monitor trasmette un dramma d’amore adolescenziale in cui Baga si cimenta nel ruolo di attrice, regista e scenografa. Tutto si svolge con gli stessi toni della classica sitcom americana, con tanto di risate finte pre registrate, sceneggiature leggere e personaggi convenzionali. In questo contesto Baga riflette sulle modalità di rappresentazione di genere, sessualità e norme sociali nei palinsesti popolari.
“Mollusca & The Pelvic Floor“ (2018) è l’installazione che racconta la lotta di potere tra uomo e macchina sotto forma di dialogo multilingue. Il video mostra due proiezioni simultanee, una in 2D, l’altra in 3D, che illustrano il percorso evolutivo dei molluschi e il rapporto fra Baga e “Mollusca”, l’unità domestica d’intelligenza artificiale.
1620 è l’installazione video site-specific appositamente realizzata per HangarBicocca. L’opera prende spunto dalla Roccia di Plymouth, simbolo delle origini degli USA. I padri pellegrini fondano le prime colonie, poi ad ogni atto la scena muta, si scompone, riflettendo sul modo in cui gli strumenti mediatici hanno progressivamente cambiato il nostro modo di raccontare e leggere le storie, frammentando e ricomponendo la sensibilità e la percezione temporale.
A fare da pendant a quest’opera è “No source found” (2019), un pavimento composto di frammenti di ceramica e collocato su un piedistallo. L’opera ritrae una delle scene della stesura del Patto del Mayflower, il primo accordo di autogoverno che i Padri Pellegrini stabilirono al loro arrivo in America. Il titolo si riferisce al messaggio di errore sui proiettori quando non viene trovato il supporto su cui sono registrati i materiali e al contempo documenta i limiti della documentazione archeologica e della comprensione della storia della cultura filippina antecedente alla colonizzazione spagnola e americana.
Sorta di <<corridoio genealogico dell’evoluzione>>, così definito dalla Baga, “Hypotetical Artifacts” (2015-2020) è un gruppo di venti ceramiche rappresentanti gli artefatti della nostra civiltà.
Accanto, la serie ceramica “Calcified Encasements for Virtual Assistants”, contiene aggettanti dispositivi di intelligenza artificiale come Alexa incastonati nei manufatti. In questo modo, l’artista ironizza sull’eccessivo affidamento riposto dall’uomo del XXI secolo nei confronti della tecnologia e ne mette in evidenza fragilità e fallibilità. Semi e gomma piuma abitano i dipinti su pannelli in legno del ciclo “Seed Paintings” del 2017.