Qual è la differenza tra un ristorante ed un ristoro di quartiere? Concetti assai simili, apparentemente: eppure il discrimine è ben chiaro a Giorgio Raffaghelli, titolare del ristoro “Sottobosco” a Milano in via Don Bosco, stretto da Morivione e Vigentino da un lato, e Calvairate dall’altro versante di corso Lodi.
“Abbiamo aperto questo locale da due mesi, racconta Giorgio, e dico subito che per me non è una novità: io sono un architetto prestato alla ristorazione, e nel mio curriculum c’è un altro bistrot con cucina, il San Maurì di via San Maurilio, proprio al centro di Milano. Ma qui è diverso: si respira un’aria più popolare, in un certo senso. Quando abbiamo aperto io e mia moglie Lorenza De Rossi siamo stati proprio accolti dai residenti, abbiamo sentito un’atmosfera quasi familiare.”
Allora è questa la differenza col ristorante: l’atmosfera da famiglia allargata?
“C’è anche un pizzico di questo, ma non solo: la nostra idea è preparare qualcosa di non standardizzato, lontano dalla mentalità industriale del mangiare veloce. E così ci siamo messi a studiare dei piatti tradizionali, che dovessero ricordare ai clienti il tempo che fu, quando le cotture erano lente e la nonna cucinava agli ospiti qualcosa di speciale. I nostri ospiti sono i clienti, e potrebbero ritrovare su queste tavole quello che hanno assaggiato a casa dell’amica o del parente, a patto di aver avuto l’invito da veri cultori della tradizione. Il cliente/ospite qui può aspettarsi attenzioni che altrove sono impensabili, e basta guardare il menù per convincersene: la carta è un racconto di estrema semplicità, in cui le descrizioni sono ridotte al minimo. Abbiamo “salumi”, “formaggi”, “mondeghili”, “pasta fresca”, “risott giald”, “arrosto”, “bollito”, “bagna cauda”. Lo stile è questo, e per i vini la musica è la stessa: “metodo classico”, “Valpolicella”, e nient’altro. Perchè così poche informazioni? Per suscitare la domanda e il dialogo: per provocare una richiesta di approfondimento, che chi prende l’ordine sarà tenuto a dare con la massima chiarezza, cercando di capire le esigenze del cliente e assumendosi la responsabilità di guidarlo nelle sue scelte. Questo è lo spirito del ristoro di quartiere, di chi vuole entrare in relazione con gli altri, e non limitarsi ad appoggiare i piatti sul tavolo.”
E veniamo ora alla tradizione. Stiamo parlando di Milano, della Lombardia o di che cosa?
“Stiamo parlando di libertà di spaziare: le ricordo che qui si fa cucina del ricordo, abbiamo l’ambizione di far affiorare delle idee, delle memorie sepolte nella testa dei clienti, e vogliamo farlo attraverso un profumo, un sapore, un piatto di pasta fresca. E quindi cuciniamo quello che ci piace, e lo condividiamo con gli altri: Milano e la Lombardia hanno un posto d’onore, ma non escludiamo tradizioni diverse dalle nostre. Abbiamo il piacere, ad esempio, di servire il Pastrami, carne di montone marinata e poi affumicata, le cui radici si trovano nell’Europa dell’Est; senza farci mancare, altro esempio, l’italianissimo bollito, caratterizzato da sette tagli, sette ammennicoli e sette salse; e per finire vorrei citare i salumi, che per buona parte sono fatti in casa (proprio come le salse del bollito), a cominciare dal nostro prosciutto cotto. ”
La linea di pensiero di Raffaghelli e De Rossi è stata sposata con entusiasmo da Federico Boni, lo chef di “Sottobosco”, a cui chiediamo qual è il “suo” piatto del ricordo.
“Era logico introdurre qualcosa di molto personale, in un ristoro di quartiere, e così ho trasportato direttamente dalla mia infanzia il bunèt, tipico dolce piemontese a base di cacao, amaretto e caffè, più qualche altro dettaglio segreto che sarebbe sciocco rivelare. La ricetta è della bisnonna Pierina, cuoca di sua maestà Vittorio Emanuele II, ma essendo io lombardo mi diverto molto anche col “risott giald”, semplice e quanto mai efficace, grazie al brodo di carne a cottura lentissima e al tocco finale: il riso è mantecato solo col midollo bovino.”
I trenta coperti del “Sottobosco” sono stati messi al centro di un locale che vuol essere accogliente ed intimo, in sintonia col carattere popolare del quartiere in cui si trova. È diviso in due aree: la prima sala caratterizzata da un grande tavolo, un vero e proprio sharing table, e la sala principale che si affaccia sulla cucina. Spazi, colori, superfici e materiali sono pensati per ricreare un’atmosfera dove le tensioni si stemperano e si trova il tempo e il modo per far riaffiorare i ricordi. La continuità con il passato è dunque un tema ricorrente di uno stile che si ispira ai colori della natura; è infatti il verde sottobosco a dominare la scena, abbinato al legno di noce italiano dei tavoli, al caldo tocco degli accessori in rame e alla contemporaneità delle superfici in marmo di Carrara.
Un piccolo mondo a parte, insomma, dove i colori, le preparazioni e l’atmosfera possono evocare la tranquillità del rione di paese e allontanare dal frastuono della metropoli, soprattutto grazie alla cucina del ricordo: un mondo color Sottobosco, dove rivivere la magia del ristoro di quartiere.