Ho pensato a lungo se scrivere qualcosa in questo momento di emergenza assoluta. Probabilmente il silenzio non è mai stato scelta migliore. Lo faccio sperando esclusivamente di incontrare il buon senso del pubblico, di chi viene a leggere questa rubrica perché si interessa di arte e cultura.
Sarà un articolo senza immagini, dovrete usare la fantasia.
Bene, cominciamo così: senza esseri umani, la cultura non esiste.
Al netto delle opinioni personali, alle volte folli, come quella di Vittorio Sgarbi che ancora oggi ha pubblicato un video in cui si spinge a paragonare il Coronavirus con una banale influenza, al netto dell’insopportabile menefreghismo di enti fiera come il Tefaf di Maastricht, che decidono di stare aperti fino a domenica prossima (esponendo decine di migliaia di persone ad un’inevitabile situazione di possibile contagio), al netto di chi settimana scorsa ha frequentato musei e gallerie perché “non si voleva fermare”, al netto delle magliette marchetta di Etro regalate a vip in vacanza, non ci sono scelte.
Dobbiamo stare a casa.
E sperare di riuscire a contenere la curva. Qualsiasi altro pensiero è irresponsabile, miope, crudele e francamente anche stupido.
Il danno economico per tutta la filiera sarà incalcolabile. È vero.
Christie’s ha appena comunicato che l’asta di aprile sarà spostata a novembre, il MiArt non si farà, il MIA nemmeno, Art Basel Hong Kong è già stata annullata da tempo e pure su Basilea ci stanno sicuramente pensando su (decisione comprensibilmente complessa visto che BaselWorld è stata una debacle e l’ente ha un disperato bisogno di liquidità). Ah, la Biennale d’Architettura, annullata chiaramente.
Ci sono situazioni emergenziali che cancellano tutto questo elucubrare.
Leggo quotidianamente di gente che “deve andare a lavorare” per forza perché non ha altra scelta. Ebbene, queste persone è meglio che si mettano in testa che questo marzo va vissuto come un agosto qualsiasi. Solo che si sta a casa e non ci si lamenta. Altrimenti la crisi da dopoguerra che ci attende alla fine sarà ancora più pazzesca, più inaffrontabile.
Cerchiamo di adoperare il digitale per accorciare le distanze. Cerchiamo, come ha saggiamente suggerito il Ministro Franceschini, di adoperarlo per fare cultura, per non buttare tutto questo tempo libero che abbiamo in inutili maratone di televisione.
C’è spazio per pensare, e la cultura si fa pensando.
Come diceva Deleuze: “Un po’ di possibile, sennò soffoco.”