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Luca Pozzi: “il mio regalo alla Pinacoteca di Brera”

Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Cima da Conegliano (San Girolamo nel deserto) e Giovanni Bellini (Madonna di Brera) Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Cima da Conegliano (San Girolamo nel deserto) e Giovanni Bellini (Madonna di Brera)
Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Cima da Conegliano (San Girolamo nel deserto) e Giovanni Bellini (Madonna di Brera)
Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Cima da Conegliano (San Girolamo nel deserto) e Giovanni Bellini (Madonna di Brera)

L’artista milanese dona a Brera The Dark Collection, una mostra permanente di Realtà Aumentata, nel solco della sua ricerca vicina alla cosmologia multi messenger, alla quantistica ed all’arte immersiva

Luca Pozzi, nella notte di Natale 2019 ha “acceso” la mostra “The Dark Collection”, una permanente donata alla Pinacoteca di Brera in grado di definire un’interessante relazione tra arte digitale e AR ed una delle collezioni di pittura più importanti al mondo. Il progetto di Pozzi a qualche mese dalla sua “presenza” in Brera, oggi, in piena crisi da Coronavirus e negli angusti spazi esistenziali della quarantena nazionale, apre una riflessione incentrata sul ruolo dell’azione artistica realizzata mediante la “digital guerilla”. In una fruizione che incede ed avanza nello spazio del vuoto, nella assenza della presenza. Lo abbiamo incontrato per conoscere qualche dettaglio in più, investiti dalla sua audace verve intellettuale e dal suo carisma.

Come è nato il progetto di art guerilla “The Dark Collection”? Oltre a quanto già citato e noto attraverso i canali ufficiali, svelaci qualcosa che, sinora, non hai ancora raccontato

Mah guarda alla fine è nato da un bisogno molto concreto di riappropriarsi di una certa libertà di azione. Di procedere in completa autonomia e di pensare non solo ad una mostra con un opening convenzionale, in uno spazio neutro, ma che si innestasse all’interno di una realtà pre-esistente e diventasse subito collezione. Boom così, un progetto di guerriglia digitale che salta tutte quelle fasi intermedie: curatore, galleria, fiera, collezionista privato e si presenta come collezione pubblica… ciao! Mi sono domandato semplicemente con quali strumenti fossi in grado di donare alla città di Milano non una mostra… ma una collezione composta da 12 mega sculture giganti. Però non volevo che fosse una cosa evidente o scontata. Volevo che le persone potessero anche essere circondate dalla collezione senza accorgersene minimamente, passarci attraverso come degli ectoplasmi. Volevo fosse connessa ad uno spazio specifico con determinate caratteristiche di senso ma che allo stesso tempo potesse essere teletrasportabile ovunque… pubblica nel senso più ampio del termine, cioè che fosse generata dallo spettatore, dalla sua prospettiva e dalla sua volontà.

 

Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Caravaggio (Cena in Emmaus), Battistello Caracciolo (Cristo e la samaritana al pozzo) e Salvator Rosa (La Madonna del Suffragio)
Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Caravaggio (Cena in Emmaus), Battistello Caracciolo (Cristo e la samaritana al pozzo) e Salvator Rosa (La Madonna del Suffragio)

La tua ricerca sulla AR in che modo ha iniziato a dialogare con la Storia dell’Arte dapprima attraverso la conquista dello spazio reale, adesso con “The Dark Collection”, in maniera del tutto digitale, in un luogo, peraltro, fortemente istituzionale come la Pinacoteca di Brera a Milano?

Viviamo in Italia, alla fine la realtà aumentata l’hanno inventata i grandi artisti del ‘500 con la prospettiva. Voglio dire, la Camera degli Sposi del Mantegna è già AR e VR messi insieme. La difficoltà è aggiornare il nostro sistema di vedere gli spazi e le superfici. Finora ci siamo sempre dovuti agganciare a qualcosa di fisico per espandere la percezione dei volumi. Credo che adesso i collegamenti non avvengano più sulle cose, sui muri, con gli affreschi e i pigmenti imprigionati in un impasto più o meno umido, più o meno oleoso… Oggi i contenuti fluttuano nell’aria; mi piace pensare che ogni millimetro cubo di vuoto sia potenzialmente predisposto per attivare altri contenuti, tutti sovrapponibili, tutti diversamente accessibili e eventualmente tutti condivisibili. Ho iniziato saltando davanti alle grandi tele dell’artista rinascimentale Paolo Veronese esposte in giro per il mondo. Tentando una connessione non lineare con alcuni marker storici del passato. La fotografia in quel caso documentava un momento di contatto ben preciso. Tra la tridimensionalità del mio corpo nello spazio museale e la bidimensionalità prospettica della pittura. Quello che cambia con la “Dark Collection” in fin dei conti è il supporto. Dove sono le opere? Sono negli schermi dei cellulari? Tra gli spazi vuoti delle opere selezionate? Nel codice di programmazione?

“The Dark Collection”, il cui nome è profondamente enigmatico e dialogico con ciò che il progetto porta in scena, ha visto la luce nella notte di Natale e sarà una mostra pressoché eterna, senza termine. Al di là di simbologie e paralleli che vedono convergere il tema del trascendentale e quello prettamente scientifico – a te molto caro – ciò che l’osservatore ritrova è il “Third Eye Prophecy”. Quale effetto produce nello spettatore? Hai modo di analizzare i dati che giungono da questo tipo di fruizione?

Non ancora purtroppo, non so bene cosa aspettarmi, è difficile monitorare tutte le modalità di fruizione. Posso raccontarti però la mia esperienza personale quando con la demo dell’applicazione sono andato in Pinacoteca. A documentare le 12 profezie e vedevo gli altri visitatori che guardavano il mio telefono straniti. Era prima dell’ordinanza del Corona Virus e c’erano gruppetti di persone affollate davanti alle opere più conosciute… alla “Pala di Brera” di Piero della Francesca, alla “Madonna con Bambino” del Bellini al “Cristo Morto” del Mantegna… e io ero l’unico in fissa sui muri. Non so cosa avranno pensato di me sinceramente… Sono un appassionato di gravità quantistica e cosmologia multi-messaggera. Per me la “Dark Collection” è oscura come la materia oscura, visibile solo se si osservano gli effetti che produce indirettamente sulla materia circostante.

Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Francesco Heyez (Ritratto di Teresa Manzoni) e (Ritratto di Alessandro Manzoni)
Luca Pozzi, The Dark Collection, 2019, Third Eye Prophecy scultura in grafica 3D tra Francesco Heyez (Ritratto di Teresa Manzoni) e (Ritratto di Alessandro Manzoni)

“Prophecy”, o il terzo occhio che hai generato in 3D equivalente a quell’occhio principe dell’artista, cobetti aderenti alla visione profetica dell’Arte. In un momento come quello che accomuna il nostro Paese, in piena emergenza per il Coronavirus, il mondo della cultura, pubblica e privata, si interroga su come gestire la crisi inattesa. E pone veti e distanze; il tuo progetto e la tua ricerca sembrano offrire una risposta. In che modo lo scardinamento della linea spazio temporale potrebbe rispondere ad esigenze in cui la presenza diviene assenza necessaria?

In realtà ho progettato le “Third Eye Prophecy” come delle palline da tennis ovalizzate dalla velocità con al centro una pupilla esplosiva. Le immagino come delle apparizioni oracolari che si manifestano quando determinate condizioni estremamente improbabili si allineano tutte. Quando certe distanze vengono riconosciute, quando si attiva una connessione di senso tra cose distanti nello spazio e nel tempo. Rappresentano quella strana sensazione che in rari casi percepiamo come di qualcosa che sta cambiando, come di qualcosa che non riusciamo ad afferrare ma che è nell’aria. Lo stato attuale di emergenza è davvero surreale e sta condizionando le nostre abitudini. Ci invita a rivalutare la supremazia della materia classic. E riconsiderare il nostro impatto sull’ambiente, ci sta dicendo che la cosa migliore da fare a volte è non fare niente e contemplare il vuoto.

“Contemplare il vuoto” per scoprirne l’essenza più vera. In una sorta di dimensione sospesa. Proprio come le opere di Luca Pozzi, laddove l’azione artistica, traducendosi in una azione metareale e teatrale, in un certo qual senso, abbatte la barriera del quarto spazio e della presenza fisica tangibile. Entrando, tuttavia, nell’universo mondano. In tal modo, essa tende non già a confondersi con la dimensione del Vero. Bensì a porsi quale punto privilegiato di visione di quest’ultimo – attraverso lo schermo digitale – L’immagine e le opere di Luca Pozzi che si intersecano tra quelle della Collezione braidense, traducono, per un’eco specchiante, quanto, invece, nel reale è nebuloso ed invisibile, “oscuro”. La realtà aumentata, immaginata e creata dall’artista, in tal maniera, e solo in tal modo, si fa latrice di un dualistico messaggio. Che è, al tempo stesso, riflessione e immersiva persuasione, sì da generare, nella tessitura narratologica e fenomenica, la realtà del reale, i suoi limiti e le sue disattese, inusitate, potenzialità, nel serrato conversare tra presenza ed assenza, vicinanza e lontananza che, il Pozzi, descrive abilmente, come convenzioni e paradigmi ormai superabili, fascinosamente.

www.lucapozzi.com

Azzurra Immediato

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