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La spocchia di TEFAF e la minimizzazione cinica del virus. Noi a Maastricht c’eravamo (prima che chiudesse anticipatamente)

Tefaf Maastricht 2020
Tefaf Maastricht 2020

AGGIORNAMENTO DEL 26 MARZO: 35 i casi positivi tra professionisti e visitatori, almeno quelli accertati. E purtroppo parecchi risultano essere in terapia intensiva

Sono ormai almeno una decina i galleristi affetti da coronavirus che hanno partecipato a TEFAF 2020 (7-15 marzo), chiusa anticipatamente l’altro ieri, mercoledì 11 marzo, per la salute di tutti e il dilagare dell’epidemia. Come volevasi dimostrare. Era ovvio che il virus arrivasse anche in quel di Maastricht, per quanto tutti minimizzassero e l’ente fiera assicurasse il normale svolgimento della rassegna “prendendo tutte le precauzioni possibili”: gel igienizzanti, sanificazione degli spazi e cartelli che invitavano a lavarsi le mani. Poca roba. Non è servito a nulla. Risultato effettivo: una miscela di cinismo e incoscienza, suffragata da una sprezzante immunità alla realtà di tutto il board di TEFAF, dal comitato direttivo all’ufficio stampa centrale (dei 10 giornalisti italiani invitati eravamo presenti in 3, rassicurati fino all’ultimo dai responsabili interni della fiera). Ora ansia e angoscia circolano palpitanti tra galleristi e visitatori che hanno partecipato alla più importante fiera d’arte del mondo, l’unica a tenere aperta i battenti in piena emergenza Covid-19 (tutte le altre rassegne hanno posticipato a dopo l’estate le loro date). Ma qui in Olanda, almeno fino al 9 di marzo, erano in una bolla. Di snobismo e di follia. E noi c’eravamo dentro.

Ricordo la prima sera di ritorno dalle due giornate inaugurali di TEFAF (5-6 marzo) di avere acceso la tv in albergo. Non ricordo il canale, era un programma olandese. C’era un gruppo di giornalisti o pseudo tali che attorno a una ologrammatica mappa dell’Europa rideva di un’Italia tutta color rosso. Il resto dei Paesi scalava sui toni del giallo. L’Olanda era color panna. Noi eravamo rossi. Non per la “zona” di contagio, ma per la nostra “abitudine a lavarci poco le mani”. Non ricordo lo “studio scientifico” a cui si rifacessero per fortuna. La tesi era che essendo più lerci fossimo più infetti, quindi naturale che avessimo tutti quei casi e focolai di Covid-19 sul territorio nazionale. Ricordo le loro facce gaudenti, con quel sorrisetto tronfio di superiorità igienica. Ci schernivano abbastanza fastidiosamente. Sembrava una di quelle meravigliose scene di genere del grande Seicento olandese di goliardici avvinazzati al tavolo di una bettola, boccale palpitante di alcol in mano. E naso rosso. La stessa espressione saccente che mi si palesava il giorno seguente (6 marzo) in fiera.

Calca tremenda all’ingresso del MECC di Maastricht dove fresie, rose e tulipani disposti in un trittico a parete cascavano dal cielo. Una scenografia come al solito spettacolare, dove sciure e sciuri in doppio petto, gomito a gomito, si fanno fotografare ogni anno che passa più belli che mai. Un rito obbligato: farsi immortalare con i tulipani in bocca e le orchidee in testa, prima di addentrarsi tra ostriche e macarons offerti dalla fiera più importante del mondo di “antico” e antiquariato. Il top planetario per offerta ed eleganza nel cuore della vecchia Europa, in quella propaggine di terra olandese che si insinua tra il Belgio e la Germania. Al di là della parete floreale erano comparsi dei gel igienizzanti, più per scena che altro. Mai visto nessuno sfiorarli, men che meno premerci sopra. Era (ancora) una bolla meravigliosa, un’isola felice dove arte e denaro rappresentavano le uniche cose che potessero essere ammesse. Non c’era spazio per il corona, il virus non si sarebbe mai palesato a cotanta nobiltà e bellezza. L’aria era salubre. Bisognava solo lavarsi bene le mani e nessun Covid sarebbe mai entrato da nessuna parte. Così almeno recitavano i cartelli nei bagni, invitando a lustrarsi scrupolosamente gli arti.

Altro che metro di distanza anti goccioline droplet. L’assembramento era pazzesco nella spettacolare anticamera floreale, salotto della kermesse. 4 mila persone il primo giorno, 10 in mila nell’arco delle due giornate di preview. Non giovincelli, tutta gente di una certa età, quelli più a rischio di contrarre il virus nella maniera più nefasta. Tutti uno accanto all’altro tra baci, abbracci e grandi strette di mano in un capannone dalla piacevole umidità, almeno per il virus. Collezionisti, advisor, direttori di musei, addetti e professionisti vari di ogni natura e di ogni specie. Prevalentemente europei, visto che la maggior parte degli americani ha preferito non partecipare mandando emissari sul posto. Di orientali (sia estremo che medio) nemmeno l’ombra, com’era facile preventivare. Nei morbidi moquettoni dei corridoi passavano con solerzia addetti alla sanificazione dei tavolini, dove però contemporaneamente facevano capolino vassoi saturi di tartine di ogni specie. Tutti rigorosamente da prendere con le mani, nessun fazzolettino. 

Ricordo bene come noi italiani (pochi e sicuramente stupidi ad andare a lavorare sul posto, per quanto attenti a ogni cosa venisse a nostro contatto e cospetto) fossimo considerati come i soliti melodrammatici, anche dagli italiani stessi residenti all’estero. “Siete sempre i soliti esagerati” con un sorrisetto compassionevole mi fece un gallerista straniero (ma poteva essere chiunque da quelle parti in quei giorni), me lo ricordo come se fosse adesso. Gli interessi, lo sappiamo, erano (e sono sempre) troppi e la fiera doveva andare finché qualcuno non fosse risultato positivo. E così è stato. L’11 marzo il primo caso. La fiera ha chiuso. Ma c’era di più in quel sorrisetto di spocchia. Un condensato di egoismo e menefreghismo, figlio di una presunta immunità alla realtà. Di una superiorità rispetto al mondo esterno, a quelli che stavano fuori da quel nobile circo. Di più. Agli “altri” in generale, peggio se appestati. Una boria condita di cinismo e incoscienza, perché oltre i visitatori comuni (dal 7 marzo) c’erano anche loro dentro, dai mercanti agli organizzatori dell’evento. In barba alle più logiche regole di salvaguardia della salute delle persone. Forse pensavano davvero di esserne immuni. Bene, dopo il primo caso accertato ne sono emersi a catena altri. Ora l’angoscia tra galleristi e addetti è diffusa e palese. Ne abbiamo contattati parecchi. Hanno molta paura. Proprio come noi.

CLICCA QUA PER LEGGERE IL COMUNICATO DI CHIUSURA DI TEFAF 2020 (11 marzo 2020)

CLICCA QUA PER LEGGERE IL NOSTRO REPORT DA MAASTRICHT (6 marzo 2020)

TEFAF 2020
TEFAF 2020
TEFAF 2020
TEFAF 2020
Interno, capolavoro di Hammershoi, da Adam Williams e Amells Konsthandel
Interno, capolavoro di Hammershoi, da Adam Williams e Amells Konsthandel

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