Alla (ri)scoperta di Taddeo di Bartolo. Alla Galleria Nazionale dell’Umbria, nella meravigliosa cornice offerta dai palazzi e dalle strade perugine, inaugura la prima monografia mai dedicata al “maestro del polittico”, caposaldo della pittura senese di fine ‘300. Un’eccezionale ricerca filologia che darà la possibilità di ammirare capolavori provenienti da tutto il mondo, confluiti nel luogo in cui la maggior parte di essi è stata creata.
Rosee navate e fondali d’oro. All’interno della Galleria Nazionale dell’Umbria si è materializzata una chiesa, le cui pareti sono tappezzate da candide madonne con i loro bambini in tra le braccia. Un’ambientazione perfetta per le opere di uno dei più grandi maestri senesi di fine ‘300, che ha passato la vita a viaggiare tra Toscana, Liguria, Umbria e Lazio, mosso dalle più prestigiose committente pubbliche e private.
Taddeo di Bartolo, attivo accanto a Duccio, Simone Martini, ai fratelli Ambrogio e Pietro Lorenzetti, la cui maggior fama è dovuta, come spesso avviene, più alla particolare sensibilità di un’epoca (quella ottocentesca) che a effettivi motivi qualitativi. Taddeo maestro del polittico, pittore itinerante, eccezionale narratore. Anni di ricerche della più accreditata studiosa dell’artista, Gail E. Solberg, si concretizzano ora in una straordinaria ricostruzione filologica, una mostra in cui restauro e ricerca storica vanno di pari passo e conducono a un risultato spettacolare.
Circa un centinaio di opere sono confluite a Perugia da tutto il mondo per ricostruire l’intera parabola creativa di un artista capace di dar voce al proprio tempo con incredibile originalità, distaccandosi da una pedissequa ripetizione di modelli predefiniti a favore di un continuo gioco di variazioni sul tema. Impossibile trovare due figure uguali tra le tavole devozionali e le cuspidi che si alternano sulle pareti della sala. Che sia per il colore della veste, per uno sguardo o per la posizione di una mano, Taddeo introduce in ogni opera qualcosa che la renda unica e diversa da tutte le altre. Nascono così soggetti noti ma al tempo stesso nuovi, dalle figure carnose e tondeggianti della Pentecoste a un originalissimo San Francesco che, nel polittico del 1403, poggia i piedi sulle personificazioni di tre vizi capitali, soluzione mai adottata prima.
Vissuto a cavallo tra ‘300 e ‘400, Taddeo di Bartolo rappresenta il prototipo del maestro itinerante, mosso dalla fama e dal susseguirsi di prestigiose committenze. Nato a Siena e qui formatosi, lascia presto la città per percorrere il corso della via Francigena alla volta di Firenze, Lucca, su fino alla Liguria per poi discendere di nuovo verso Pisa e Siena, dove fa ritorno per affrescare importanti edifici cittadini, dal duomo al Palazzo Pubblico.
Le sette sezioni in cui la mostra è divisa scandiscono le tappe dei viaggi di Taddeo, permettendo di ripercorrere l’evoluzione di temi e stile dell’autore. Dalla prima opera che presenta la firma del pittore, il Polittico Collegalli del 1389, si passa ai lavori realizzati dalla sua bottega (attiva a Siena a inizio ‘400), fino ad arrivare ai polittici più tardi, base per i successivi sviluppi dell’arte del centro Italia.
Fulcro dell’intera esposizione è però il polittico bifacciale che si erge maestoso al centro dell’immaginario transetto della chiesa. Sette tavole lignee per ogni lato e (almeno) tre registri orizzontali uniti a creare un vero e proprio manifesto della regola francescana, di cui la chiesa perugina era uno dei principali centri nevralgici. Realizzata nel 1403 per la chiesa di San Francesco al Prato di Perugia, l’opera è qui ricostruita per la prima volta grazie a una serie di prestigiosi prestiti internazionali che si vanno ad aggiungere ai 13 elementi già di proprietà della Galleria Nazionale. Ciò che resta dei 42 campi figurati è montato su un’armatura poligonale che ricrea quella che doveva essere la struttura originaria del più importante polittico dell’epoca. Se già di per sé le singole tavole rappresentano dei veri capolavori, vederle riassemblate è uno spettacolo che lascia a bocca aperta. La complessità iconografica e compositiva lascia presagire quale sfida debba essere stata cercare di rimettere insieme pezzi dispersi in giro per giro per il mondo, divisi a suo tempo per la smania di possedere almeno in parte una tale bellezza.
Quella su Taddeo di Bartolo è una ricerca scientifica, filologica, un puntino luminoso nell’epoca delle esposizioni Blockbuster e delle mostre “Da…a…”. Con queste premesse, forse i più potrebbero spaventarsi, additandola come di nicchia, non fosse che la bellezza delle Madonne e dei fondali dorati, dell’allestimento e della ricerca a monte di tutto questo riescano a parlare tanto agli addetti ai lavori quanto al grande pubblico, senza lasciare nessuno indifferente.
Informazioni utili
In ottemperanza al Dpcm dell’8 marzo 2020, che reca ulteriori misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale, la mostra rimarrà chiusa fino al 3 aprile 2020.