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Arte che sfida i limiti. Via alla 22esima Biennale di Sydney, 101 artisti, 600 eventi e 700 opere in città

Biennale di Sidney 2020 Ibrahim Mahama, No Friend but the Mountains 2012-2020 Ibrahim Mahama, No Friend but the Mountains 2012-2020
Biennale di Sidney 2020 Ibrahim Mahama, No Friend but the Mountains 2012-2020
Ibrahim Mahama, No Friend but the Mountains 2012-2020

CHIUSA IL 24 MARZO FINO A DATA DA DESTINARSI

Confini da superare e da cui partire per andare oltre. NIRIN (“confine”, appunto) è il titolo per la 22esima Biennale di Sydney, che animerà la città australiana dal 14 marzo all’8 giugno 2020. 101 artisti, 600 eventi e 700 opere dislocate in tutta la città, il tutto all’insegna dell’arte contemporanea.

Terza in ordine cronologico tra le più “vecchie” biennali al mondo (dopo Venezia e Saõ Paolo), quella di Sydney si pone quest’anno come un invito a guardare oltre a ciò che il nostro occhio vede, a sfidare la realtà consolidata e costruire un futuro diverso, libero da imposizioni preconcette. L’invito viene direttamente dal curatore artistico dell’esposizione, l’artista aborigeno Brook Andrew, che ricorre a un termine della sua lingua madre, quella del popolo Wiradjuri, per guidare il pubblico attraverso gli 87 giorni della “sua” Biennale.

Biennale di Sydney 2020 Teresa Margolles, Untitled, 2020, National Art School
Teresa Margolles, Untitled, 2020, National Art School

Giorni scanditi dalle fotografie di Barbara McGrady al Campbelltown Arts Centre, viaggio attraverso la storia aborigena contemporanea, o dai sacchi di carbone cuciti tra loro con cui Ibrahim Mahama ha ricoperto le pareti della Turbine Hall di Cockatoo Island, il piccolo agglomerato di terra galleggiante che spunta nel porto cittadino. Così attraverso il Museum of Contemporary Art Australia, dove osservare le riflessioni fotografiche su genere, razza e sessualità dell’attivista-fotografo Zanele Muholi, fino all’istallazione di protesta creata dall’artista Kunmanara Mumu Mike Williams insieme ai ragazzi del suo popolo (quello Pitjantjatjara), alla moglie Tuppy Ngintja Goodwin e al suo storico collaboratore Sammy Dodd. Tra i sei spazi in cui la Biennale è articolata anche la Art Gallery of New South Wales, Artspace e la National Art School, all’interno della quale Hannah Catherine Jones ripercorre la diaspora africana a suon di cultura pop e materiali d’archivio.

Biennale di Sydney 2020 Latai Taumoepeau, Stitching (Up) The Sea, 2014, Performance al Blacktown Arts Centre
Latai Taumoepeau, Stitching (Up) The Sea, 2014, Performance al Blacktown Arts Centre

Ad accompagnare il tutto un ricchissimo programma pubblico fatto di eventi live e site specific dall’evocativo titolo NIRIN WIR, “confine del cielo”. Onore alle donne delle isole del Pacifico con NIRIN HAIVETA, un traghetto decorato con tatuaggi tradizionali tramise cui queste trasporteranno gratuitamente gli studenti dal porto Circular Quay alla Cockatoo Island durante la settimana. Stories We Never Tell è invece una passeggiata performativa da compiere in gruppo fino alla Parramatta Female Factory Precinct, ma i meno sportivi possono sempre ripagare sul 4ESydney HipHop Festival o sulla Bankstown Poetry Slam a Cockatoo Island.

Biennale di Sidney 2020 Emily Karaka
Emily Karaka, Kingitanga ki Te Ao (They will throw stones), 2020

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