Bruno Ceccobelli e le sue riflessioni di artista “recluso” al tempo del Coronavirus. Diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi
Non era mai successo. Nemmeno il coprifuoco della Guerra Mondiale era così rigido: tutti a casa, mattina, sera, notte. E non era mai successo che il rapporto, il contatto con l’”altro”, imprescindibile regola del vivere contemporaneo, diventasse il nostro peggior nemico. Ci voleva un pericolo invisibile, ancor più minaccioso proprio perché impalpabile, per costringerci a fare qualcosa che ormai non facciamo più: guardarci dentro. Vivere solo con noi stessi. Un riallineamento delle coscienze, che ci permette – o forse ci costringe – a rivedere certe cose con un’ottica diversa, più “pura”. Alcuni artisti italiani lo fanno con i lettori di ArtsLife: diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi, un ripensamento dell’arte come scelta di vita sociale. Un nuovo contributo di Bruno Ceccobelli (1952), che dopo la ribalta internazionale ormai da 40 ani ha scelto di rifugiarsi nelle campagne di Todi suo paese natio…
Strabismo di Venere. Il popolo bue al mercato delle vacche magre
Al di là del fatto che i “fatti” servono sempre a qualcuno, ma non a tutti, è ovvio che la Storia che conosciamo ci è stata “raccontata” da alcuni e vale per alcuni e non per altri. Non vorrei essere troppo criptico, ma la maggioranza dell’umanità ignora la sua vera storia, fuori dal mercato delle vacche magre.
Ecco, molto spesso i fatti accaduti nella Storia sono dati per fatti ufficiali, veri e giurati, attribuibili a personaggi importanti, con dati che diventano eclatanti e sembrano certamente utili universalmente, e per questo, al senso comune, inevitabili.
Inevitabili come il pensiero unico; è proprio quest’ultimo “insegnamento” univoco al capitale che vorrei analizzare chiedendomi: “a chi sono veramente utili i libri ufficiali della nostra Storia dell’Arte Occidentale?”. Per esempio, quando è nata, l’Arte Contemporanea, è stata promotrice di una vera rivoluzione ?
Occorre sempre valutare la convenienza di chi scrive un articolo o di chi parla in video o di chi dipinge un soggetto o presenta un’azione di rimostranza, per capire poi da che parte sta, a cosa sta mirando e a che gioco gioca, insomma quale parte sociale rappresenti.
Verso fine Ottocento arrivò un’arte di rottura verso l’Arte Moderna precedente. Per i giovani contestatari, pionieri delle prime Avanguardie dell’Arte Contemporanea del Novecento, i vecchi artisti dipingevano ancora un dolce romanticismo assimilabile, per loro, ad un’arte di rappresentazione più o meno mimetica o simbolica, forse anche troppo narrativa. Pensiamo agli Impressionisti, al paesaggio “en plein air”.
Ma questa lettura “ufficiale” della nostra Storia dell’Arte Contemporanea, effettuata usualmente da una critica storiografica ed estetica accomodante verso gli eventi, da pensiero unico, questo racconto fiabesco o diciamo di finalizzata partigianeria, a favore di chi è stato ed è compiacente?
Ora: se l’Arte Contemporanea fosse vista diversamente, “con il senno di poi”, se non fosse stata una vera rottura contro i valori della borghesia industriale o clericali o dell’aristocrazia, ma fosse stata un’involuzione verso un infantilismo da Superuomo? Se cioè ci trovassimo di fronte ancora una volta ad un’operazione di novità gattopardesca del sistema borghese?
Si è preferito essere poco attenti nel leggere il “contenuto” di questa rivoluzione-involuzione novecentesca. E cioè nel capire qual era l’idea di fondo, quale visione o pensiero fosse corrispondente ad una lettura non politicamente corretta di quegli ideali poetici… Non è stato mai popolare il “cui prodest”, si è ritenuto così nel tempo di scartare una rilettura delle Avanguardie che non fosse avulsa dal verbo sociologico, etnografico, antropologico e psicologico.
Ora, se viviamo in una società Postmoderna, come quella sotto i nostri piedi, senza origine e senza identità, con un padre evaporato e il sacro profanato (aggiungerebbe Jacques Lacan), una società alienata, psicotica tra psicofarmaci e droghe, tra realtà aumentata e fake news e finanza guerrafondaia. Manipolati e omologati ad un capitalismo sorvegliante: a chi lo dobbiamo se non alla nostra cultura novecentesca e alla sua celebratissima arte?!
Sembra molto difficile credere che le opere d’Arte Contemporanea, e il loro sistema intellettuale e mercantile, non abbiano avuto nessuna influenza e nessuna colpa per tali risultati. Per esempio avrebbero potuto esternare una semplice comunicazione di gentilezza o una filosofia giusta e salvifica, profezie escatologiche positive per tutta l’umanità. Invece via via si è sentita più stressata, brutalizzata e presa in giro dalle perfide e brutte opere delle Avanguardie Artistiche.
In definitiva gli artisti e gli intellettuali della fine Ottocento e di tutto il Novecento furono del tutto incapaci. Nonostante la loro cultura e le teorie rivoluzionarie non poterono evitare né le guerre, né le dittature del Nazismo, del Comunismo e del Capitalismo, con i loro perversi e atroci orrori.
Anzi gli artisti del Futurismo, soprattutto con il loro poeta vate Filippo Tommaso Marinetti, anticiparono e configurarono un vero alibi poetico culturale al nascente Fascismo.
Altri intellettuali nazisti, comunisti e ancor più capitalisti, nelle loro rispettive nazioni, si impegnarono a costruire “inni”. “Emblemi” di propaganda nazionalistici per portare avanti nei suddetti regimi un “Realismo” social popolare propedeutico alle loro fedi necrofile.
Il movimento artistico più inflazionato e rispettato dal mercato internazionale è stato la Pop Art, fino a tutte le sue derivazioni anche recenti. Esso ha eletto a sua ideologia pregnante la banalità della pubblicità dell’arredo suburbano, ovvero “la Civiltà dell’Hamburger e della democrazia missilistica d’asporto”, come dice Diego Fusaro.
A metà del secolo scorso questa nebbiosa arte americana fu subito globalizzata e accettata da critici e galleristi come una feconda novità snob. Dicevano dei loro artisti che “guardano ai bassi fondi, al mondo reale dei minimi”. Un’arte che, se fosse stata un riscatto per quelle umanità, trattate dalle classi benestanti come ombre, sarebbe stata un’arte che patentava l’umanità ad una untuosa inviolabile miseria.
La Pop Art ha rozzamente copiato e esaltato il valore della pubblicità. Immagini multimediali di facile presa per menti deboli. Pubblicità, ricordiamolo, mai onesta, anzi più il prodotto in questione è un fallimento (o è inquinante) e più ci investono soldi per venderlo. A chi? A quelli che, comprandolo, accettano essi stessi di diventare cavie, prodotti, strumenti di quello stratagemma ingannevole, quindi alla stregua della mera merce dei commercianti truffatori!
Qui mi si dirà che non si può processare la Storia. Ma è sempre stato un diritto avere memoria, un diritto di chi si sente vittima di un sopruso, anche se estetico. Perché non accada di nuovo occorre celebrare un rito riparatorio, uno scongiuro catartico.
Chi s’impegnò a discutere la Pop Art? Pochi: il mercato volava e tutti muti, ovverosia nessuno si impegnava a decifrare in quelle opere caramellose i disegni egemonici. Oppure, in sostanza, a trovarvi “qualcosa” similare alla vera armonia o alla fratellanza di spiritualità metafisica. O a qualcosa di ecologico o semplicemente di igiene mentale. Eppure all’occhio post-moderno materialista attento e riflessivo, è sfuggita “l’insostenibile” leggerezza dell’essere capitalista.
Abbiamo dormito male nel ‘900, ci siamo svegliati tardi nei primi decenni del Duemila. Con un’arte devastante, rigettata, piena di “scioccherie”, discendente dai quegli artisti borghesi che hanno giocato fra un’esistenza da clochard e una da damerini, nei ristretti circoli privati dei Principi dei “fori”.
Non solo nani sulle spalle dei giganti. Ci sono stati anche rari Artisti Santi, eroi come i fratelli Alberto e Giorgio de Chirico, il genio ipnogogico di Salvador Dalì, la ilare concettualità di René Magritte. O l’essenzialità dell’energia di Costantin Brancusi, la plasticità gloriosa di Marino Marini o di Giacomo Manzù. Questi grandi artisti hanno riportato l’arte a quel periodo “classico” del passato senza tempo.
Ora, non dico di innalzare un monumento al “Pittore Ignoto” che ha “dipinto” abbellendolo il quadro mondo senza farsi sentire, e magari portargli un fiore fresco ogni giorno. O istituire la giornata mondiale della memoria in ricordo “dell’Artista Anonimo” di tutte le frontiere morali perse… Ma je me souviens…
Ci sono stati e ci sono Artisti con animo e abnegazione sempre leali all’armonia cosmica, come ci sono sempre stati i migliori pittori prima di noi. Perciò desidererei fare un omaggio ai caduti antenati della “Bellezza” alle spalle della storia ufficiale dei vincitori.
Esseri forti di luce propria, anime lievi, senza volto, né firma, né selfie, devoti all’invisibile. Parlo di quegli artisti al centro dell’Africa o dell’Amazzonia, che stanno lì, al centro della Steppa della Mongolia o al Polo Nord oppure al centro d’Italia, al centro di se stessi, ignorati perché fissi nella loro ricerca e non mercificabili… Ogni tanto, costoro andrebbero pensati intensamente, ringraziati mentalmente, immaginati dentro al loro tenero silenzio… Sono sempre esistiti, questi semidei, oltre le speculazioni terrestri del loro tempo, per questo rivolti solo all’Eterno.
Voglio ricordare alcuni esempi di artisti non convalidati dalla Storia dell’Arte asservita al mercato. Veri creativi si può essere, senza essere buoi. Per esempio come l’artista del Cinquecento che anticipa il Cubismo, Luca Cambiaso, o l’incisore del Seicento Giovan Battista Bracelli, che anticipò con le sue “bizzarrie” il Surrealismo. Oppure ancora il pittore del Settecento Fortunato Duranti, che anticipò con i suoi disegni la Transavanguardia. O ancora il novecentista Alberto Bragaglia, che dipinse opere eccellenti senza mai fare un’esposizione, né vendere una sua opera, e che fu riconosciuto geniale solo dopo la sua morte…
Bruno Ceccobelli
http://www.brunoceccobelli.com/