Su Rai1 parte «Doc nelle tue mani», un medical drama con Luca Argentero che interpreta Pierdante Piccioni, il primario del Pronto Soccorso di Lodi che in un incidente perse 12 anni di memoria e che oggi è lì, in trincea, a combattere il Coronavirus
Questa sera, 26 marzo, su Rai1 parte la fiction «Doc nelle tue mani», che è una storia di vita e di ospedale, di salvezza e di morte, proprio come i giorni che stiamo vivendo. Luca Argentero nella finzione interpreta Andrea Fanti, ma nella realtà è Pierdante Piccioni, il primario del Pronto Soccorso di Lodi che in un incidente perse 12 anni di memoria e che oggi è lì, in trincea, a combattere con i suoi colleghi il coronavirus, questo nemico senza volto che pare disceso quasi dall’ordalia delle nostre paure.
Tanti hanno fatto come lui in questi giorni. Qualcuno ci ha anche rimesso la pelle. Solo che il professor Pierdante Piccioni, 59 anni, da Levata, Cremona, una carriera negli ospedali e anche fuori prima che una macchina lo sbattesse in un campo di grano e di terra dura, ha qualcosa di diverso che riguarda tutti noi, le sconfitte degli uomini comuni e le lente risalite, la dolorosa fatica di quelli che hanno dovuto sempre pagarsi il conto, perché il destino forse i regali li fa solo quando nasci. Poi ti devi arrangiare. Piccioni viene dal mondo dei vinti, è nato lì, fra i campi fino all’orizzonte, le biolche di terreno delimitate dai filari di pioppi, le gaggie sugli argini del fiume, le cascine con i cortili e i campanili aguzzi. Suo padre era un contadino e per farlo studiare doveva girare le piazze di paese a vendere tessuti, ma aveva solo la quinta elementare e ci voleva la licenza media. Pierdante lo preparò agli esami: quando il vecchio fu promosso riuscì a pagargli l’università.
Passo dopo passo, Pierdante era arrivato in cima alla carriera: era primario del Pronto Soccorso di Lodi e Codogno, ma non solo quello, perché il suo era diventato il primo Pronto Soccorso d’Italia, e lui era stato nominato consulente del governo, aveva una cattedra all’università ed era presidente di una importante associazione internazionale di Medicina con sede negli Usa. Era tutto questo quando finì con la macchina sui campi mentre andava al lavoro. Era il 31 maggio del 2013. Dopo il coma “si risvegliò” il 25 ottobre 2001, cioé nel giorno in cui si era fermata la sua memoria. Non riconosceva più i suoi figli che avevano 8 e 11 anni quando lui se li ricordava e che adesso invece erano due uomini grandi e grossi, sua moglie gli sembrava incredibilmente invecchiata con le rughe e i capelli corti, e anche gli amici gli parevano quasi altre persone.
Al lavoro lo lasciarono a casa con l’invalidità. Lui la rifiutò. Ma non poteva tornare: per la medicina perdere la memoria è una forma di demenza. Si consultò con gli avvocati e c’era un solo modo per riprendersi il posto: ricominciare da capo. E lui lo fece, mentre lo avevano confinato in una stanza dei bidelli, con gli stracci per pulire i pavimenti, studiando giorno e notte. In un anno affrontò circa 100 fra esami e test, non è riuscito neppure a tenerne il conto. Ma ci riuscì e furono costretti a riprenderlo. Tornò a fare il primario di Pronto Soccorso a Codogno, dove ci rimase un anno prima di passare a gestire un altro reparto.
Come se non bastasse ha scritto pure due libri per raccontare la sua storia, Meno Dodici, che è diventato un best seller, e Pronto Soccorso, i cui diritti sono stati comprati dalla Lux Vide per la fiction tv. E ora la presidente della società di produzione Matilde Bernabei conferma che «questa serie ha già riscontrato notevoli interessi sul mercato internazionale, sia per la versione italiana, che per il format». Negli Usa e in Inghilterra.
Luca Argentero, protagonista assieme alla bravissima Matilde Gioli della fiction, dice che è «orgoglioso di interpretare proprio in questo momento particolare la figura vera di uno dei medici che stanno dando l’anima per tirarci fuori da questa situazione terribile». Poi, la fiction ha bisogno di una trama e di misteri diversi e complicati per attirare gli spettatori. Ma lo spirito della sceneggiatura è rimasto quello che ha segnato la seconda vita di Pierdante Piccioni, la sua solitudine di alieno catapultato in mezzo a un’umanità che non riconosce, la sua forza di volontà, la sua tenacia, il suo dolore. Come spiega Luca Bernabei, Ceo di Lux Vide, «siamo partiti da una straordinaria e avvincente storia vera per arrivare a raccontare una grande storia di speranza. La speranza che nasce dalla dedizione nel prenderci cura gli uni degli altri. La dedizione che ammiriamo nel lavoro di quegli eroi moderni che sono i medici. La dedizione che ci rende umani».
Certo, lo sappiamo che non sono tutti eroi i medici. Nella retorica della guerra – e questa del coronavirus è una guerra – si fa presto a esagerare. La loro grandezza è che sono come noi, fragili come noi, sconfitti come noi, ma che riescono a essere migliori. Il segreto è trovare la forza di rialzarsi. Per molti di loro è davvero una vocazione, una sorta di missione che li spinge a pensare alla malattia come un nemico da affrontare, non da sfuggire. Sembra facile a dirlo così. Piccioni ha questo di diverso, però. Che è ancora e sempre un paziente, e sta pure dall’altra parte della barricata. E ha imparato che qualche volta per aiutare un malato, non basta essere freddo e distaccato oltre che bravo come devono essere i medici. Bisogna saperlo capire. Volergli bene.
Il trailer: