Com’è cambiata la vita degli artisti durante la quarantena? Come sono mutate le loro abitudini, il loro sentire, il loro lavoro?
L’aria sospesa, gli spazi dilatati, i silenzi, il fluire sordo del tempo. L’attesa pervasa di un chiarore surreale e indefinito che scandisce le vite della quarantena. Abbiamo chiesto a una serie di artisti di raccontarci lo scorrere del tempo dalle proprie case, trasformate in temporanei atelier. La vita di un artista ai tempi della pandemia.
I tempi di Elisa Bertaglia
Come passi la giornata, dove e come dipingi ora?
Rientro nell’insieme delle persone più fortunate in questo momento, vivo e lavoro nello stesso posto. Il mio studio infatti è una delle stanze del mio appartamento, a Rovigo. La giornata non passa molto diversamente da prima, quando trascorrevo vari giorni consecutivi dipingendo prima di un periodo movimentato, fatto di viaggi e spostamenti per appuntamenti ed inaugurazioni. Ma ora mostre ed inaugurazioni sono annullate e rimane davanti un lungo ed indefinito tempo isolato. Appena fatta colazione e letto le principali notizie della giornata, vado subito in studio. Le prime ore del mattino sono le più produttive, riesco ad avere il massimo della concentrazione con il minimo sforzo: butto giù idee e riflessioni, penso alla ricerca, spesso critico parte dell’operato del giorno precedente (è utile per distinguere gli errori dalle cose buone), programmo le cose da fare durante la giornata, e incomincio a dipingere su tele e carte a cui sto lavorando.
Ho attrezzato un angolo dello studio con un tavolinetto recuperato in soffitta e il giradischi. Così quando le notizie del giorno sono troppo pesanti, ascolto a ripetizione i due vinili che mi hanno regalato sinora: un fantastico De André e gli psichedelici New Trolls. Ha un sapore bellissimo stare seduti davanti ai quadri e sentire in sottofondo la puntina che striscia sul disco che gira.
Solo dopo la prima settimana mi sono resa conto che pur lavorando a casa ho comunque bisogno del mondo fuori. Se non altro almeno per il fatto che il materiale prima o poi finisce… Mi accorgo così che mi rimarranno si e no 2 dita di trementina dentro il barattolo. È un problema. Di solito uso moltissimo solvente per impostare le tele, ho davanti settimane di lavoro e senza la trementina non so come fare. Provo ad usare il nitro, ma è troppo aggressivo e il colore si stacca dalla tela, quindi non va bene. Per caso ho trovato negli scaffali dell’acquaragia che andrebbe bene per pulire i pennelli. In mancanza d’altro provo ad utilizzarla per diluire il colore dei grandi fondi e sorprendentemente mi accorgo che ha dei vantaggi: è in grado di asciugare velocemente, inoltre ‘brucia il colore’, ossia rende le tonalità più luminose, con vibrazioni inaspettate. L’acquaragia assomiglia molto al turpenoid, un diluente che utilizzo quando sono in America ma che qui non si trova. Sono sorpresa e contenta di questa scoperta.
Prima nota in agenda: sperimentare di più, uscire dalla zona di comfort.
Anche di acquaragia però ne ho un solo litro. Non è molto, ma se sto attenta basterà. Devo fare economia dei materiali.
Seconda nota in agenda: riflettere molto, e poi ancora molto, prima di iniziare un lavoro.
Tempo, Spazio, Suono. Concetti ricalibrati, relativi, riformulati…
Di solito la giornata è scandita dai rumori minimi che dalla finestra penetrano nello studio. La routine del quartiere mi ha sempre fatto compagnia; capisco quando è ora di pranzo perché la vicina rientra dall’ufficio e le famiglie si riuniscono a tavola; il giovedì nel mio quartiere passa ancora l’arrotino. Ma questi suoni non ci sono più, la città fuori è ovattata. Quando apro le finestre in questo marzo caldo sembra sempre la domenica di Pasqua: quella prima parentesi di primavera dove tutti sono ‘altrove’. La giornata non ha scompartimenti, non c’è più mattina o pomeriggio. Non si sentono odori, ad eccezione dei nostri. Trementina e olio di papavero. Ora di sera, le notizie che mi arrivano dalla radio sono ormai un suono molesto. Attendo le 18 con l’ansia del primo giorno di isolamento; sembra quasi che solo allora la giornata inizi davvero. Ma è sera invece. Lavoro un altro paio d’ore per non terminare con l’amarezza delle cifre giornaliere.
A febbraio ho iniziato un ciclo di grandi tele, è una nuova serie inedita per una mostra personale che avrei dovuto fare a maggio negli Stati Uniti, a New York, ma che è stata posticipata all’autunno. Per me sono lavori complessi,sono indipendenti ma fanno parte di un unico ciclo, sono in dialogo tra loro. Quelli che ho sviluppato nell’ultimo mese hanno tonalità più scure e mi piacciono particolarmente (ho trovato un’affinità cromatica insolita con i colori usati in questo stesso periodo da altri amici artisti). Sto cercando di raffinare la tavolozza, lavoro con piccole variazioni di grigi e di neri, scaldo il colore con viola e aranci, o lo raffreddo con blu e terre verdi che non ho mai usato prima. Mi posso concentrare nel trovare quella particolare tonalità, posso concedermi il tempo di scoprire un accostamento nuovo, azzardare delle tinte più acide come contrasto. I giorni davanti non hanno scadenza: al momento si lavora senza data di destinazione ed è molto bello.
Leggere, scrivere, riflettere, altro…
Non mi capitava da tanto di potermi prendere il lusso di non avere fretta, di riflettere su quello che faccio in maniera ossessiva. Di solito finiti i lavori, per ragioni di spazio (abito in un appartamento!) li porto a casa dei miei o nel magazzino. Invece adesso non lo posso più fare, entrambi sono lontani. Questo mi obbliga ad una convivenza forzata e perpetua con i nuovi dipinti, con quello che ho fatto. Ho scoperto quindi che gli errori emergono solo dopo parecchio tempo; e quadri che pensavo fossero finiti non lo sono affatto. Questa lentezza non può portare ad altro che a giudizi severi verso il proprio lavoro e ne sono felice.
Contrariamente a prima, mi riservo la domenica come giorno di ‘vacanza’, e se normalmente sarei andata in giro e a mangiare fuori, ora cucino. Non sono poi così brava, ma mi piace pensare di poter sopravvivere con un sacchetto di farina e due pomodori. Così faccio crostate, pasta fatta in casa, ravioli, muffin e biscotti. Al pomeriggio leggo articoli d’arte e i libri che volevo leggere da un po’, ma che non ho avuto ancora il tempo di sfogliare. Cose in inglese perlopiù, cataloghi di mostre recenti che ho visto e che mi sono piaciute tanto. Redoubt di Matthew Barney ad esempio mi ricorda il viaggio in Cina e mi dà suggestioni su lavori futuri.
Prima cosa che farai quando finisce la quarantena?
La prima cosa che farò finita la quarantena sarà fare una gita fuori porta da mattina a sera: farò colazione al bar, passeggerò per i colli vicino a casa e pranzerò al ristorante. La sera, cinema.