Carlos Martiel è nato a L’Avana, Cuba, nel 1989 e oggi vive e lavora fra New York e la sua città natale.
Laureatosi nel 2009 presso la National Academy of Fine Arts “San Alejandro” all’Avana, tra il 2008 e il 2010 ha studiato presso la Cátedra Arte de Conducta, diretta dall’artista Tania Bruguera. Le sue opere sono in importanti collezioni pubbliche e private come il Solomon R Guggenheim Museum di New York, la Fondazione Shelley e Donald Rubin di New York, il Museu de Arte do Rio di Rio de Janeiro, il Museo Nazionale di Belle Arti de L’Avana e ha realizzato performance in diversi musei nel mondo fra i quali il Stedelijk Museum di Amsterdam, il Museo La Tertulia di Cali, il Centro de Arte Contemporáneo di Quito, il Walker Art Center di Minneapolis e il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano.
Fra i più importanti artisti del panorama internazionale, pone il suo corpo, la sua identità e la sua sensibilità in dialogo con la natura dell’esistenza, la vita sociale e le tradizioni culturali, inserendosi a pieno titolo in un’accesa tradizione artistica legata al fare performativo, attualizzandola e innovandola attraverso un impatto duro e colto con un reale mutevole e contemporaneo.
Per la preziosa collaborazione alla realizzazione di questa intervista si ringrazia Apulia Center for Art and Technology.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Essere un artista significa molte cose; per come la vedo io significa avere un impegno con il momento in cui vivi, oltre ad avere una visione consapevole e critica della realtà a breve, medio e lungo termine. Queste sono delle qualità innate, perché non impari a essere un artista, puoi imparare a perfezionare una tecnica, ma essere un artista è una professione con cui nasci. Il materiale essenziale dell’arte, in generale, è la sensibilità e non può essere acquistata o acquista con un titolo universitario, anche se frequenti la più prestigiosa università d’arte in Europa o negli Stati Uniti. Un artista deve capire che sebbene lavori per se stesso e per soddisfare un bisogno personale di espressione, le dimensioni della sua opera trascendono la sua esistenza effimera; per questo parlo di impegno verso se stesso e verso la società. Il processo che coinvolge la creazione artistica, a volte, pone luce e verità su domande esistenziali ed essenziali che hanno perseguitato e tormentato l’essere umano sin dagli inizi dell’umanità.
Per quanto riguarda le differenze che vedo dall’inizio della mia carriera ai giorni nostri, penso che siano sostanzialmente concettuali. Si può dire che ho perfezionato il modo in cui fare il mio lavoro grazie alla maturità, alla perseveranza e alle conoscenze che ho acquisito nel corso degli anni ma, in sostanza, il mio lavoro continua a nascere dalle preoccupazioni, dall’angoscia e dal disagio che genera la vita.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Nel corso della mia carriera gli argomenti che ho toccato sono cambiati, perché sono cambiati i contesti in cui ho dovuto vivere. Nei miei inizi come artista a Cuba le questioni che ho affrontato riguardavano il razzismo, l’immigrazione, l’isolamento e l’abuso di potere da parte delle autorità. Questioni quotidiane per un cubano; nonostante abbia vissuto in diversi paesi, Cuba è stata la nazione in cui mi sono sentito più discriminato. È intenso vivere su un’isola da cui non è possibile viaggiare, ci sono cubani che non hanno né le risorse né le possibilità di viaggiare quando vogliono. È molto frustrante non avere la libertà di espressione o di opinione, o vivere sotto l’oppressione di un governo con un complesso genitoriale e che si sente in diritto di decidere sul destino e sul futuro di coloro che governa. Vivendo fuori Cuba i problemi si sono evoluti perché sono diventato un immigrato nero in paesi come l’Ecuador, l’Argentina e gli Stati Uniti. Ognuno di questi contesti mi ha costretto a comprendere il mio corpo e la sua interazione sociale in un modo diverso e, quindi, ho dovuto affrontare diversi argomenti che sono collegati a immigrazione, genere, esclusione, invisibilità e violenza.
Nonostante la situazione di incertezza che il mondo sta vivendo sotto l’espansione di COVI 19, la chiusura delle frontiere e il rinvio di eventi che erano già programmati ho continuato a lavorare su progetti da realizzare a New York, San Diego, Bogotá, Osnabrück, Valladolid e Città del Guatemala, ognuno corrisponde concettualmente a situazioni specifiche di ciascuno di questi contesti ma sempre in relazione ai problemi che ho già menzionato in precedenza.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Stiamo parlando di New York, quindi il modo in cui mi relaziono con questa città varia e dipende dal giorno e dal mio umore.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Il punto non è quello che penso o credo, la domanda è cosa non credo. Il sistema o il mondo dell’arte ha troppi paradossi, gli artisti sono gli ultimi della fila fra i beneficiari e sono il collegamento più importante. Il sistema dell’arte contemporanea dovrebbe essere realizzato da artisti che, dopo tutto, sono quelli che comprendono maggiormente l’arte e che soffrono le condizioni in cui l’arte viene talvolta prodotta. Invece, troppo razzismo, esclusione, inettitudine, abuso, troppo essere senza sapere, non ora, sempre.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Ci sono molti problemi attuali che riguardano questa società che devono essere messi sul tavolo, non solo su quello dell’arte. Vivere in una città come New York mi ha portato faccia a faccia con una realtà che non ha precedenti nella mia vita. Ciò mi ha portato a esplorare, per esperienza personale e attraverso quella di amici molto cari, nuovi argomenti come il genere, la crisi dell’HIV, la crisi della metanfetamina in cristalli, il razzismo, temi urgenti da affrontare in un contesto come quello degli Stati Uniti.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
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