Beatrice Merz al Motel Nicolella
Cara Beatrice,
è un onore averti ospite al Motel Nicolella. Siamo qui a parlare di un’occasione davvero speciale, i primi 15 anni della Fondazione Merz. Non c’è anno ad Artissima che mi scordi di fare una visita alla Fondazione di via Limone. Per me, e per molti altri, è una di quelle tappe da non mancare quando si viene a Torino.
Partiamo dagli inizi.
Perché è stata aperta? Con quali presupposti?
Il progetto è nato a seguito di numerose conversazioni con mio padre, lui ha sempre espresso il desiderio di costruire una casa per l’arte e per gli artisti. Intendeva mettere in atto una sorta di magazzino-studio aperto, non solo per esporre le sue opere ma soprattutto per ospitare progetti di altri. Poi lui è mancato e così ho proseguito la progettazione e ho aperto lo spazio di via Limone.
Avevamo in mente un luogo di ricerca, di studio, di progettazione e di condivisione.
Come festeggerete?
Questo compleanno è giunto in un periodo della storia che ci ha colto tutti impreparati. Avevamo in programma di festeggiare con il nuovo progetto espositivo PUSH THE LIMITS ma per via del lockdown, non solo siamo chiusi ma non abbiamo potuto terminare l’allestimento, che sarà concluso non appena sarà permesso rientrare, per poi inaugurarlo presumibilmente in settembre. Quindi oggi festeggiamo questi 15 anni di attività ripercorrendo con il progetto social #FondazioneMerzRewind quanto realizzato fino a ora ma, con lo squadro ben puntato verso i prossimi anni, riflettendo sulla natura del luogo, dello spazio, e del ruolo giocato dagli artisti e dalle loro opere, e dalla funzione sociale data a un’istituzione.
Tu sei cresciuta in una casa dedicata all’arte. Cosa credi che significhi oggi, in un momento cruciale di questo tipo, fare arte, vivere d’arte o per l’arte? Che significato ha nelle nostre vite?
È giunto il momento di porsi domande, l’arte non può infondere certezze ma può aiutare a far cambiare il ritmo della ruota. Sarà necessario uscire dai nostri gusci spogliati dall’invincibilità, offrendo contenuti per riavvicinare un pubblico che dovrà fare i conti con l’elaborazione di un lutto collettivo. Gli artisti sono esperti nell’accelerare le importanti questioni che sorgono dall’essere umano e svestire la società per farla apparire per quel che realmente è.
Il ruolo che si deve giocare ora è quello di far sentire il peso della democrazia, e tenere alta l’attenzione del pensiero critico. Il ruolo è cardine. Venisse a mancare cadrebbero tutti i presupposti dell’autodeterminazione.
Spero che saremo in grado di affrontare tutto questo.
Arte Povera, Transavanguardia, Young British Art… il ‘900 ha raccontato tante correnti, tanti artisti che in qualche modo si sono trovati fianco a fianco nella loro ricerca. Dal tuo osservatorio, credi ci sia oggi un movimento particolare da tenere d’occhio o siamo in balia di tante creatività differenti e disperse?
Ci sono effettivamente tante creatività differenti ma non direi disperse o dispersive, credo che sia molto importante cercare la chiave di lettura che indichi a ognuno di noi la strada della ricerca. Io ritengo che sia fondamentale restare ancorati alla realtà. Con la giusta dose di fantasia, lungimiranza e autocritica l’artista giusto ci può indicare i contenuti.
Come pensi sarà possibile per Fondazioni e Musei superare questa crisi? Con quale ricetta e quali presupposti?
Il timore che accomuna tutte le istituzioni culturali è che a seguito di questa chiusura forzata, oltre al danno economico, sarà più complesso riportare il pubblico all’interno dei musei, dei teatri e delle sale da concerto. Ci sarà una ricostruzione. Un dopo guerra. Credo che tutti stiano cercando di capire come potersi rialzare. La questione fondamentale secondo me è capire la domanda del pubblico più che la nostra offerta. Dovremo partire dall’esterno, dalla condivisione di contenuti e dalla relazionalità.
Nel 2013 è stato istituito il Mario Merz Prize, con cadenza biennale, che ha la finalità di individuare personalità nel campo dell’arte e della composizione musicale contemporanea. Chi è emerso, e secondo voi sarà protagonista nei prossimi anni?
È un progetto che dà moltissimo, attraverso la grande affluenza di nomination si è trasformato in un importante strumento di scouting.Siamo giunti alla terza edizione, a breve apriremo la call per la quarta, e a parte i 3 vincitori Wael Shawky, Petrit Halilaj e Bertille Bak (la sua mostra è stata rimandata al prossimo anno per via della riprogrammazione della Fondazione a seguito del lockdown) ritengo che tutti gli artisti selezionati per le short list siano da seguire. È già un bel numero…
Qual è la mostra della Fondazione a cui sei maggiormente affezionata e ti fa piacere rivedere sui social?
I progetti che mi sono rimasti nel cuore sono molti, ogni mostra ci ha lasciato dei messaggi, se devo ricordarne scelgo queste 3 mostre lontane tra loro nel tempo: nel 2009 quella davvero eccezionale e irripetibile di Wolfgang Laib, l’artista aveva invitato 45 bramini a officiare negli spazi esterni della Fondazione, per una settimana, il rito del fuoco. E poi nel 2013, sono state memorabili le passeggiate ‘lunari’ sul tappeto di frammenti di vetro nella mostra di Alfredo Jaar Abbiamo amato tanto la rivoluzione.
E infine l’ultima sfida – questa fuori sede, a Palermo – per la mostra ÜberMauer; abbiamo chiesto agli artisti invitati di confrontarsi con un tema di grande attualità: la sempre più vasta presenza di muri nel mondo da quelli politici a quelli psicologici.
Ti ringrazio molto per questa bella chiacchierata.
A presto spero…