Pellizza, Morbelli, Guttuso: la Festa dei Lavoratori osservata attraverso le opere che i tre pittori hanno realizzato ispirandosi a questa storica celebrazione.
Inevitabile, oggi 1° Maggio, evocare il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, dipinto terminato nel 1901, e celebrazione in chiave verista e romantica della Festa dei Lavoratori. La notissima composizione è di immediato impatto scenografico e di semplice lettura. In primo piano appare uno spazio sgombro, e illuminato, simbolicamente aperto all’avanzare della fiumana di lavoratori verso il sol dell’avvenire.
Lo stesso slancio progressista lo si individua in Per 80 centesimi, opera di Angelo Morbelli eseguita nel 1891, in stile prettamente divisionista. Il messaggio è toccante, e rappresenta un gruppo di mondine chinate a ripulire il riso dalle erbacce. Struggente è il canto del 1906 dedicato a loro da un autore ignoto: “Se otto ore vi sembran poche / provate voi a lavorare / e sentirete la differenza / di lavorar e di comandar”.
Nel secondo Novecento, la Festa del Lavoro, grazie a Renato Guttuso, rimanda invece alla strage di inermi contadini, braccianti, donne e bambini avvenuta il 1°maggio del 1947 nel palermitano, a Portella delle Ginestre. Un atto feroce perpetrato da Salvatore Giuliano, bandito di Montelepre, sparando alla cieca con i suoi uomini a cavallo. Negli ambienti politici di sinistra e sindacali il gesto era stato interpretato come un avvertimento mafioso. Ma in realtà i mandanti rimasero per sempre ignoti, e l’autore materiale venne ucciso poco tempo dopo. Recita un detto siciliano “Mentre la mafia uccide, di silenzio si muore”. Indignato, Renato Guttuso si mette immediatamente all’opera, eseguendo un’allegoria tragica e significante di due metri di lunghezza per uno e mezzo di altezza, realizzata a olio su carta e in seguito intelata. Esprime tutta la sua rabbia in un linguaggio espressivo realista e nel contempo allegorico. Fa convivere, in modo direi alchemico, l’immagine medioevale del Tronfo della morte – uno stupendo affresco esposto in permanenza nel Museo di Palazzo Abatellis a Palermo – con la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello.
Per necessità espressive si avvale anche del linguaggio cubo-futurista. Benché Guttuso sia considerato il caposcuola del Realismo Socialista, nella Strage a Portella della Ginestra abbandona del tutto il canone principe dell’oggettività espressiva, baluardo di tenuta contro la retorica borghese e romantica, e si permette il lusso, per la prima e l’ultima volta, di essere eretico. In questo caso diventa un poeta visionario, istintuale, sinceramente angosciato. Intuisce che i mandanti siano i latifondisti che hanno alzato il tiro, avvertendo in modo lugubre di non avere alcuna intenzione di arrendersi alla proposta di Riforma Agraria, poi varata nel 1950, che prevede la spartizione delle terre a favore dei braccianti e dei contadini.
Renato Guttuso risponde alla strage da intellettuale e da pittore civile. Ma il dipinto è di un costrutto assai complesso, e tutt’altro che popolare. Il suo linguaggio si semplifica nei due anni successivi con L’occupazione delle terre incolte in Sicilia di grandi dimensioni, tela che diviene totem di ispirazione indotta. Insieme a lui, gli artisti figurativi con la tessera del Partito Comunista, si travestono da reporter. Raggiungono le terre occupate dai contadini, e i loro lavori nulla hanno da spartire con l’autenticità poetica della Strage a Portella della Ginestra, che ritengo sia l’opera più sincera che Guttuso abbia mai eseguito.