Ci sarà un B.C. e un A.C., before corona, after corona nei nostri A.D. anno domini da qui in avanti. La pandemia è una crisi sanitaria, sistemica, economica, psicologica globale che ha pervaso (anche) il sistema dell’arte e il suo mercato, con relative e logiche ripercussioni. Non sappiamo per quanto tempo saranno limitati movimenti e spostamenti internazionali. Non abbiamo idea di come torneremo a girandolare per mostre, biennali, fiere (se non altro, quasi sicuramente, finirà l’isteria collettiva e compulsiva della proliferazione patologica della fiera ovunque e per qualsiasi cosa). Si pianifica e programma nell’incertezza quasi assoluta attendendo la discesa del santo vaccino. Aspettando che ne sarà del nostro amato circo dell’arte, abbiamo chiesto ai maggiori attori del sistema in Italia pensieri, previsioni e possibili scenari post-epidemia, dalla propria sospesa quotidianità in quarantena.
Primo semestre ormai quasi totalmente bruciato. Fiere che si ammassano orgiasticamente una sopra l’altra da settembre a dicembre, illudendosi che poco e nulla cambierà (ora si danno alle viewing rooms). Case d’asta che provano a sopperire fondendo gli incanti, implementando l’online e posticipando in autunno. Istituzioni e vari professionisti del settore che si buttano nel nuovo verbo social, la patologica litania quotidiana di contenuti online, alcuni interessanti, il più delle volte di una noia e inutilità cosmica, scaturiti dal rincorrere gli altri, perché bisognadirenecessariamentequalcosaperesserepartedelsistema (da leggere fastidiosamente tutto d’un fiato), come se anche qua non dovesse valere l’eterno principio: o lo fai bene, con cognizione di causa, o lassa stà.
Bene, quindi, il mondo dell’arte sta cambiando? Cosa ne sarà quando tutto sarà finito? Saremo tutti sereni in guanti e mascherina sotto gli umidicci capannoni delle fiere? Chi e con quale entusiasmo avrà voglia di comprare passate le (forse) ferie estive? Si ridimensioneranno i prezzi? Sparirà la fascia medio-piccola delle gallerie? Girerà ancora tutta la fuffa onanistica che satura il contemporaneo? Ce ne saremo finalmente liberati, o continuerà a imperversare? Cambierà il gusto? Vincerà la qualità? Ci sarà il rimbalzo (e picco) di vendite come la scorsa crisi (2008) in arte e beni di lusso? Chi lo sa. Nessuno lo sa. Si naviga a vista. Si prova a sperare e sparare pregando il santo vaccino che tutto e tutti immunizzi. E via come prima.
Ma intanto, ora, cosa fanno relegati alla coatta quarantena i maggiori attori del sistema? Come passano le giornate a casa? Quali sono i loro programmi e le loro previsioni per il post-pandemia? Abbiamo chiesto a Massimo De Carlo, direttore della storica galleria omonima, tra le maggiori realtà del contemporaneo al mondo, di raccontarci la propria sospesa quotidianità (quella che a tutti noi attanaglia) e cosa ne sarà del prossimo futuro della galleria e di ciò che su di essa gravita.
Tutto rimandato (se va bene) a settembre, miart, Basel… Che fa un gallerista ora, durante la quarantena?
Un gallerista ragiona, dialoga con gli artisti che rappresenta, parla con i collezionisti e sperimenta. Abbiamo lanciato un nuovo spazio virtuale due settimane fa che avrà una programmazione serrata. E’ il primo spazio del genere nel mondo dell’arte.
Il primo semestre 2020 è praticamente in toto bruciato. Che scenario pensi si possa prospettare a settembre quando forse qualcosa ricomincerà? Quanto tempo ci vorrà per tornare alla normalità (se mai si ritornerà)?
Non è sbagliato pensare ad un possibile ridimensionamento del mercato dell’arte contemporanea, ma allo stesso tempo bisogna cercare di trasformare le difficoltà in risorse per il futuro. La ripresa ai livelli a cui eravamo abituati prima del lockdown, sarà molto lenta. Non prima della seconda parte del 2021.
Problematiche principali legati alla chiusura totale?
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una sostanziale vaporizzazione dei consumi in quelle attività che consideravamo indispensabili per il nostro lavoro. Abbiamo reagito potenziando il digitale con iniziative sia di contenuto che di comunicazione. Non pensiamo che l’arte possa vivere soltanto nello spazio digitale, ma sicuramente è un momento propizio per sperimentare e innovare.
250/300 fiere d’arte all’anno. Servono? Non sarebbe meglio cancellarne qualcuna per il bene di tutti?
Le fiere sono state strumenti fondamentali per il mercato. Sono costretto a usare il passato perché non sappiamo cosa potremo fare nel prossimo futuro. Grandi eventi? Viaggiare? Regna l’incertezza, ma c’è anche molta voglia di ricominciare a fare quello che sappiamo fare.
Pensi che il mondo dell’arte intero possa cambiare passata l’epidemia? Si abbasseranno i prezzi.. cambieranno le dinamiche.. il gusto? Ci convertiremo tutti a fruire virtualmente le opere dal divano…
Di sicuro ci sarà un rallentamento sostanziale. Forse qualche attore del sistema scomparirà, schiacciato dalla crisi economica globale che si prospetta. Anche se per potenza non abbiamo mai vissuto un’emergenza del genere ricordiamoci che il mondo dell’arte ha attraversato momenti difficili almeno in tre occasioni recenti (la Guerra del Golfo, l’11 settembre e la crisi finanziaria) ed è sempre riuscito a reinventarsi. In questo momento tutto in digitale, domani magari con un giusto equilibrio tra reale e virtuale.
Prima cosa che farai appena finita la quarantena?
Tornare in galleria.