Print Friendly and PDF

Marco Tonelli: l’arte sia una forma di pensiero visivo, non spettacolo

Marco Tonelli, foto Aldo Marrone Marco Tonelli, foto Aldo Marrone
Marco Tonelli, foto Aldo Marrone
Marco Tonelli, foto Aldo Marrone

Le riflessioni sullo stato attuale dell’arte contemporanea di Marco Tonelli, storico e critico d’arte, direttore artistico del museo di Palazzo Collicola a Spoleto

C’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole, andiamo avanti tranquillamente

Giorni fa mi ha scritto via WhatsApp un bravo artista di successo, che conosce bene il sistema dell’arte e da cui a sua volta è ben conosciuto. “Temo che quelli che tematizzano i problemi sono visti oggi come Cassandre. E che il mondo dell’arte ha preso il posto dei circhi e dei luna park di una volta. Deve divertire, far circolare denaro e non porre problemi, giusto qualche provocazione per rendere frizzanti le serate. E poi… champagne per tutti”.

Condivido a pieno l’ironia. In alcuni dei cosiddetti “mondi dell’arte” si trova molta più coerenza e continuità tra i vari settori di quanta ce ne sia in quello dell’arte visiva. Se ad esempio il disegno di un abito di uno stilista di moda, la passerella di una sfilata, una campagna pubblicitaria su riviste di settore, le vetrine dei punti vendita, i party con modelle e star dello spettacolo sembrano tutti appartenere a una stessa logica, non può essere così nel mondo dell’arte, se questa parola deve avere qualcosa a che fare con la definizione di cultura.

A differenza della moda, infatti, la creazione di un’opera d’arte (che può ovviamente entrare di diritto nel sistema della moda), e la riflessione critica che ne consegue, non dovrebbero essere fatte seguendo le stagioni o il mercato. Né solo in vista dell’allestimento di vetrine adatte per la vendita. Se l’arte si adeguasse all’intrattenimento e aspirasse ad essere tale, molto del suo valore si perderebbe. Se leggessimo le confessioni di questi tempi di molti artisti e addetti ai lavori, ricaveremmo che stare lontani dall’aspetto relazionale del lavoro è stato accolto dai più come una benedizione.

Marco Tonelli
Marco Tonelli

La crisi di questo periodo (se non fosse stata economica nessuno nel campo dell’arte ci avrebbe fatto caso) dovrebbe essere culturale. O meglio dovremmo trasformarla in una sfida culturale, come sarebbe dovuto essere da decenni.
In cosa consiste questa sfida? Appunto nel dare al significato della parola “cultura” uno sfondo dissociato da quello di spettacolo, vernissage e intrattenimento. Più adatti al mondo della moda, della musica pop, del cinema. E far sì che almeno una parte del mondo dell’arte (non quella afferente al suo, pur legittimo, spettacolo) incarni a misura il significato del termine cultura.

La parte in oggetto è quella della creazione, del pensiero intorno all’opera, della scrittura critica, della storiografia, della museologia, della ricerca. Pratiche che costituiscono il vero tessuto della cultura, a differenza di quelle legate all’intrattenimento (mostre ed eventi di curatori, aste, fiere, biennali, inaugurazioni). Scinderle oggi sembra il compito delle Cassandre!

Dunque se facessimo dell’aspetto culturale dell’arte una disciplina a sé rispetto a quella della sua socializzazione e consumo, forse il mondo dell’arte avrebbe più possibilità di far sentire la sua voce profetica in momenti di crisi e non. Proponendo delle pratiche e dei contenuti non aderenti al mainstream, alle mode o all’economia, ma al pensiero.

Il che non significa, come è capitato di leggere in questi giorni, inserire un artista (chi? uno famoso, uno problematico, uno isolato, uno conosciuto?) dentro i team di esperti. Ma far sì che tra gli esperti ci sia un uomo o una donna di cultura. Il problema dell’arte infatti forse sta proprio in ciò: che non fa parte del dibattito culturale contemporaneo (ridotto spesso nel suo caso a ridicole opere scandalistiche o a vendite all’asta). In cui non riesce a inserire, se non in rarissimi casi, personalità in grado di farsi sentire a livello globale e condiviso, come avviene in altri settori.

Peter Sloterdijk nel campo della filosofia, Derrick de Kerckhove in quello dei mass media. Yuval Noah Harari in quello della storiografia, Parag Khanna in quello della politica. Bret Easton Ellis in quello della letteratura, il compianto Mario Perniola in quello dell’estetica, Slavoj Zizek in quello della sociologia. Sono solo alcuni dei nomi di chi ha saputo creare narrazioni e discorsi culturali estesi con successo, uscendo dai propri specifici territori di studio (toccando, se necessario, il campo dell’arte). E connettendosi ad ampio raggio alla contemporaneità. In questo elenco sentiamo la mancanza di qualcuno proveniente dal campo dell’arte: forse l’aspirante giusto è Boris Groys?

Boris Groys
Boris Groys

L’arte deve essere una forma di pensiero, visivo, non necessariamente concettuale, ma di certo non uno spettacolo. Solo così potrà sperare di avere voce in capitolo, virus o no. Ma per far questo bisogna che chi critica o tematizza i problemi non sia visto come una Cassandra, bensì una necessità. Con buona pace degli amanti dello spettacolo e dei vernissage, per i quali “c’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole, andiamo avanti tranquillamente”, come disse il capitano del Titanic al mozzo, cantato da De Gregori.

Marco Tonelli

https://it-it.facebook.com/public/Marco-Tonelli

Commenta con Facebook