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Pensieri di un artista isolato. Emilio Isgrò

Emilio Isgrò, Foto Valentina Tamborra, 2016 Emilio Isgrò, Foto Valentina Tamborra, 2016
Emilio Isgrò, Foto Valentina Tamborra, 2016
Emilio Isgrò, Foto Valentina Tamborra, 2016

Emilio Isgrò e le sue riflessioni di artista “recluso” al tempo del Coronavirus. Diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi

Non era mai successo. Nemmeno il coprifuoco della Guerra Mondiale era così rigido: tutti a casa, mattina, sera, notte. E non era mai successo che il rapporto, il contatto con l’”altro”, imprescindibile regola del vivere contemporaneo, diventasse il nostro peggior nemico. Ci voleva un pericolo invisibile, ancor più minaccioso proprio perché impalpabile, per costringerci a fare qualcosa che ormai non facciamo più: guardarci dentro. Vivere solo con noi stessi. Un riallineamento delle coscienze, che ci permette – o forse ci costringe – a rivedere certe cose con un’ottica diversa, più “pura”. Alcuni artisti italiani lo fanno con i lettori di ArtsLife: diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi, un ripensamento dell’arte come scelta di vita sociale. Ecco il contributo di Emilio Isgrò

Come vive questo periodo di “isolamento” forzato?
Io, in realtà, sono un artista che quando lavora ama comunque star solo. Quindi questa condizione di solitudine, imposta da una situazione di emergenza così difficile e così impegnativa per tutti, la vivo abbastanza tranquillamente, preoccupato più per coloro che non ci sono abituati. Un artista dovrebbe vivere sempre nella solitudine, e non nel clamore. Se poi ci sono oggi artisti che vivono nel clamore, pazienza; ma la solitudine e il silenzio sono secondo me condizioni importanti per il lavoro dell’artista.

Emilio Isgrò, Rovescio e diritto, 2018
Emilio Isgrò, Rovescio e diritto, 2018

Solitudine e silenzio favoriscono la riflessione…
Certo, qualche riflessione è nata da questa situazione. Soprattutto sul tema della vulnerabilità del sistema dell’arte, che poi è la vulnerabilità di tutta l’economia contemporanea, non sempre fondata su realtà concrete…

Fra le righe sembra di percepire toni dissonanti con l’arte d’oggi, che spesso guarda più alla comunicazione che non alla sostanza…
L’arte non può prescindere dalla comunicazione. Ma in un’epoca in cui tutti comunicano, è chiaro che quella dell’arte deve essere una comunicazione altamente selettiva, sia del pubblico sia dei mondi che tocca. Una comunicazione indifferenziata l’arte non la può affrontare, perché l’artista va fuoristrada. Lo so bene che l’arte è anche comunicazione, ma una comunicazione che deve prescindere dall’ovvio e dai luoghi comuni. Mentre oggi, fatte le debite eccezioni, a volte è essa stessa una fomentatrice di luoghi comuni. Spacciati, spesso, per chissà quali scoperte. Non sempre, per fortuna, ma spesso è purtroppo così. La verità è che l’arte contemporanea, da cinquant’anni, continua a vivere sull’eredità delle grandi scoperte del Novecento. Non è entrata ancora in un’era nuova. Quasi un atto di speculazione sul già fatto. Più o meno riproposto in formule accattivanti, ma niente di realmente nuovo sotto il sole. Spero che questa situazione induca i giovani artisti a riflettere e a pensare anche loro, senza delegare a nessuno.

Emilio Isgrò, Cancellatura, 1964
Emilio Isgrò, Cancellatura, 1964

E le sembra che i giovani artisti lo stiano facendo?
Alcuni confondono l’arte con la comunicazione giornalistica e pubblicitaria. È chiaro che se uno fa il pubblicitario, deve farsi comprendere immediatamente. Ma l’artista deve comunicare altre cose. Cose che sì, arrivino al pubblico, ma che non si possono bruciare in pochi secondi, poiché necessitano di maggiore riflessione. La moda, il design, la pubblicità, tutto questo è comunicazione: ma l’arte in cosa differisce? Nell’arte c’è anche l’anima di chi la crea, il cuore, le gioie, i malesseri. L’artista deve comunicare soprattutto se stesso, la propria gioia, o la propria difficoltà di stare al mondo.

Nei giorni scorsi il ministro Franceschini, presentando una serie di provvedimenti di sostegno al mondo della cultura sofferente per la pandemia, ha posto grande attenzione alle nuove tecnologie. Come si pone lei rispetto a questo?
Gli artisti più sensibili si sono sempre avvalsi delle nuove tecnologie. Antonello da Messina, che porta nell’arte del suo tempo la pittura a olio, appresa dai fiamminghi, introduce in fondo una nuova tecnologia. Naturalmente, non bisogna creare la retorica della nuova tecnologia. Tutto quello che attiene ai nuovi mezzi, al computer, spesso finisce per creare opere tutte uguali. Si confondono i programmi offerti dal computer con la sostanza dell’arte.

Emilio Isgrò, Mediterraneo, 1970
Emilio Isgrò, Mediterraneo, 1970

Quale deve essere a suo parere l’approccio dell’artista rispetto a queste questioni?
L’artista deve essere anche capace di smentire chi ha creato certe tecnologie, non di confermarne le attese. Non è vero che tutti sono in grado di fare gli artisti, come non tutti sono capaci di fare i medici o gli avvocati. Un tempo queste si chiamavano vocazioni: bisogna esserci portati. Le dirò di più: ci sono troppi artisti, in genere selezionati da ben precisi apparati consumistici. Non bisogna spaventarsi, perché il tempo prima o poi aggiusta le cose. Almeno così si spera.

Lei a cosa lavora, in questo periodo di “reclusione”?
Approfitto di questo momento per fare cose che in genere non ho il tempo di fare. Per esempio sto scrivendo molti articoli, che si possono leggere su vari giornali: a volte di riflessione sull’arte, a volte su altri temi. Perché ritengo che la figura dell’artista è, almeno dal Rinascimento in avanti, la figura di un intellettuale capace di riflettere e di pensare. Al pari dei poeti, degli scrittori, dei musicisti. Pensiamo cosa sarebbe un Leonardo, se non avesse avuto la sua straordinaria capacità di pensare. Quindi – e in questo forse lo sciagurato virus almeno spero abbia questa funzione non del tutto negativa – deve tornare nell’arte il culto del lavoro, che sostituisca la speculazione finanziaria, e deve tornare anche il gusto della scoperta.

Emilio Isgrò, Particolare, 1972
Emilio Isgrò, Particolare, 1972

Lei quindi è fiducioso in una funzione per certi versi taumaturgica di questo virus?
Oggi l’arte è in crisi non solo per il virus, ma perché onestamente è spesso noiosa. È noiosa perché quando la mente non lavora, lei non vede le cose, non le conosce. Le riconosce automaticamente: il tale artista ha questa cifra, l’altro fa tutte le righe belle dritte, l’altro ancora le fa storte… Tutto questo è ridicolo. Ora, noi siamo un piccolo Paese, per tante cose, a volte addirittura meschino e miserabile. Ma certamente abbiamo un substrato culturale invidiabile che non viene soltanto dal Rinascimento, ma viene fuori dalla nostra storia: dal Medioevo e ancor prima. Di questo dobbiamo essere orgogliosi, e sperare che le nuove giovani classi dirigenti siano all’altezza della situazione, come lo furono le classi dirigenti che emersero dopo la caduta del fascismo. E bene o male riuscirono a portare avanti questo Paese per molti anni. Nell’arte, nella cultura, e anche nell’economia. Personalmente sono incline a una certa fiducia.

https://www.emilioisgro.info/

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