Nel centro di Monza, in via Parravicini, a pochi minuti dal Duomo che custodisce la Corona ferrea, trovate il ristorante “Il Moro”: in pratica, l’avamposto brianzolo ove da tredici anni si distribuisce saggezza siciliana ai fornelli, ma senza retorica, perché i titolari hanno saputo mantenere i piedi per terra.
Il locale da quasi cinquanta coperti è arredato con una nota d’eleganza un po’ rétro e governato dal trio d’attacco Antonella-Salvatore-Vincenzo Butticè, una maître di sala affiancata da due chef. Gli obiettivi del trio sono sempre stati ambiziosi: sono partiti dalla madre terra, sono arrivati a fare del “Moro” un ritrovo gastronomico di classe.
“Le origini non si tradiscono”, spiega Vincenzo Butticè, chef e restaurant manager, “e quindi da noi il viaggio negli aromi e nei colori della Sicilia sarà sempre immancabile. Ci piace, però, ogni volta aggiungere qualche particolare nuovo, attingendo ai ricordi dell’infanzia vissuta a Raffadali, paesino di collina non distante da Agrigento. Dove di agricoltura si viveva, ed è forse per questo che ci è rimasta la voglia di recuperare le semenze antiche, a rischio estinzione, come il grano Timilia (o Tumminia) con cui facciamo il pane e la focaccia. Questo, per noi Butticè, vuol dire essere ambasciatori della Sicilia, di alcuni modi di vivere e produrre che non sono cambiati, ed è bene non cambino; ma è altrettanto importante introdurre nella nostra cucina elementi ‘continentali’, diciamo così, perché i confini geografici non devono mai essere soffocanti. Gli unici confini davvero invalicabili sono quelli della qualità e della freschezza, il che ci rende molto attenti a rispettare i cicli stagionali. Il discorso non riguarda solo frutta e verdura ma pure pesce e carne: non si capisce perché dovremmo servire le sarde quando non sono più al top, e lo stesso vale per l’agnello. Dato che la fantasia in cucina è e dev’essere inesauribile, quando manca un ingrediente io e Salvatore passiamo all’idea successiva, basta un pizzico di buona volontà”.
Sarà servita una vagonata di buona volontà per resistere, qui al “Moro”, in questi mesi di chiusura e di allerta sanitaria, o no?
“Momento terribile per tutti, ma noi abbiamo cercato di reagire in vari modi. Abbiamo messo in piedi un servizio di consegna più che accettabile, senza tradire la nostra vocazione, che è quella di mantenersi su livelli qualitativi alti. Chi ordinava poteva ottenere il servizio caldo o freddo (da far rinvenire a casa), secondo le sue esigenze, senza rinunciare alle sensazioni e al piacere che avrebbe provato sedendosi al ristorante. Siamo riusciti anche a curare l’eleganza nella disposizione del piatto, una delle nostre caratteristiche più note”.
E ora che il lockdown sembra finito, che si fa?
“L’esperienza fatta con le consegne a casa ci aiuta a riprogettare il futuro: accanto al ristorante di via Parravicini apre in questi giorni ‘La Bottega del Moro’, che si occuperà solo di food delivery, e a via Vittorio Emanuele si dà il via ad un’esperienza nuova, sempre qui a Monza: ‘A trattoria. Qualità e garanzia di igiene firmata Butticè, servizio e prezzi da trattoria, solo asporto. Un locale con i suoi due cuochi dove si telefona, si prenota e si passa a prendere quanto ordinato, freddo o caldo a scelta”.
E la nave ammiraglia, il “Moro” di Monza, quando riprende il mare?
“Anch’essa ai primi di Giugno. Abbiamo fatto un progetto a medio termine, per circa diciotto mesi, in cui è previsto che la capienza del locale passi da 46 a 20 coperti. Ciò significa che non potremo accettare più comitive numerose, ma solo piccoli gruppi di 6 persone al massimo. Per rispettare i parametri igienico-sanitari previsti dalla legge è necessario questo sacrificio, insieme a tante altre accortezze, che abbiamo fatto rientrare nel protocollo di sicurezza alimentare che ci siamo autoimposti. Come dire, la salute al primo posto. Stiamo pensando, inoltre, di introdurre due fasce orarie per cena, con la prima che va dalle 19,00 alle 20,30; dopo una veloce sanificazione si riprende dalle ore 21,00 fino a chiusura. Chi entra alle 19,00 per forza di cose dovrà uscire alle 20,30, ma avrà uno sconto particolare. Per ripartire e risalire bisogna ingegnarsi, in altre parole, e fare squadra non solo col personale di sala e cucina, ma pure con i clienti: puntiamo molto sulla loro capacità di comprendere le difficoltà del momento”.
La sperimentazione del servizio di consegna, in un settore delicatissimo come l’alta gastronomia; poi, in una differente fascia di prezzo, l’inaugurazione di una trattoria per il cibo d’asporto; infine, per il “Moro”, un progetto postCovid-19 spalmato su diciotto mesi. C’è tanta volontà e tanto futuro nel messaggio di Vincenzo, il portavoce del trio Butticè, in prima linea ai nastri di partenza: di ripartenza, anzi. Spunti da cogliere per chi voglia riflettere sul concetto di resilienza, tanto in voga nel gergo giornalistico degli ultimi anni. La parola “resilienza” è legata al significato originario di rimbalzare (latino resilire), oggigiorno sta a indicare la resistenza dei materiali alle sollecitazioni dinamiche, e a cominciare da qui si possono elaborare estensioni lessicali e forse metafore; oppure sta a riassumere la piccola lezione dei Butticè, un esempio di amore appassionato per la cucina d’autore, e d’ora in poi anche di resilienza.