Homecoming, Janelle Monáe protagonista nella nuova stagione del thriller Amazon, in sospeso tra misteri vecchi e nuovi
Nel campo della serialità, da tempo ormai un fatto è chiaro: l’offerta è troppa. Se Netflix da una parte ha letteralmente rivoluzionato le regole della fruizione e (in parte) quelle dalla produzione, dall’altra l’originalità non sempre ha accompagnato la conseguente impennata di prodotti che hanno iniziato a costellare le varie piattaforme (e i tradizionali canali TV) in una gara alla concorrenza sempre più vertiginosa. La qualità delle produzioni in media è molto alta (quella della scrittura un po’ meno), si privilegia il drama e il thriller, la commedia soffre e le serie che si distinguono sono sempre meno. L’impressione generale è che Netflix abbia reso tutto beige.
A distinguersi ci prova Amazon Prime Video, che nel 2016 aveva chiamato a sé addirittura Woody Allen per scrivere, interpretare e dirigere una miniserie con Miley Cyrus, Crisis in Six Scenes. La storia d’amore tra Allen e Prime Video finirà malissimo, ma è indicativa della direzione che il colosso insegue. Altri esempi possono essere Too Old to Die Young , la serie macabra e spericolatamente lynchiana di Nicolas Winding Refn (Drive, The Neon Demon) o, ancora più recente, Tales from the Loop, serie fantascientifica ispirata alle opere di Simon Stålenhag che prende le distanze da tutti i concorrenti più cool del momento (da Stranger Things a Dark) per dar vita a una bellissima opera che va in controtendenza rispetto alle dinamiche “televisive” del binge watching.
Tra queste serie TV che puntano a una scrittura di alto livello e a un risultato non necessariamente popolare (la serie di Nicolas Winding Refn non è certo stata commissionata per un record di ascolti) va segnalata Homecoming, che ha visto il debutto sul piccolo schermo di Julia Roberts, protagonista della prima serie. Dal 22 maggio è disponibile la seconda stagione, senza Julia stavolta (che si conferma però come produttrice), ma con Janelle Monáe (Il diritto di contare, Moonlight) e un nuovo mistero.
La protagonista si risveglia senza memoria su una barca in mezzo a un lago. Non ha idea di come sia arrivata lì e non si ricorda chi è. La sua ricerca di identità la porta nel cuore del Geist Group, la compagnia che si occupa dell’iniziativa denominata Homecoming. Stephan James torna nel ruolo di Walter Cruz, veterano di guerra per il quale – nella prima serie – Julia Roberts aveva messo tutto in discussione, lo ritroviamo che sta cercando di costruirsi una nuova vita e di riprendersi dai traumi della guerra e dal progetto Homecoming. Hong Chau riprende il ruolo di Audrey Temple, una impiegata del Geist a sorpresa ha compiuto una scalata ai vertici dell’azienda. A loro è legata a doppio filo la figura della protagonista interpretata da Janelle Monáe.
Sceneggiatori e produttori di Homecoming 2 sono ancora Eli Horowitz e Micah Bloomberg (creatori del podcast di Gimlet Media da cui è tratta serie). A cambiare è il regista. La prima seria – formata da 10 episodi – era stata diretta da Sam Esmail (il papà di Mr. Robot), questi nuovi 7 episodi sono diretti invece da Kyle Patrick Alvarez (C.O.G., The Stanford Prison Experiment), anche produttore esecutivo.
I sequel, si sa, sono sempre difficili. Si rischia di snaturare il prodotto originale, di allungare il brodo per cavalcare l’onda del successo, di cambiare rotta troppo bruscamente per non ripetersi e di deludere il pubblico. In questo senso Homecoming si difende bene: aggiunge un nuovo personaggio – per creare un filo rosso – ma si concentra sulle storie di alcuni dei personaggi della prima serie per approfondire le dinamiche e scavare più a fondo nel mistero e dare un epilogo a quanto lasciato in sospeso. Tutto si incastra alla perfezione, come in un ingranaggio precisissimo. La serie è inquietante e tesa, si guarda in un soffio. La regia di Esmail era indubbiamente più riuscita, originale e piena di invenzioni, mentre quella di Alvarez rincorre esplicitamente De Palma e Hitchcock, tutta zoom e sequenze in split screen (anche la colonna sonora spinge e sottolinea quella direzione). Ne risulta un immaginario più smaccatamente derivativo, ma con un’identità ben definita e la narrazione non perde la sua forza. Homecoming si conferma un must see nel panorama.