Ripercorrendo le vicende di alcuni grandi truffatori della storia, Noah Charney ci apre le porte del regno dei falsi mostrando come il sistema dell’arte sia per molti aspetti connivente nel cadere mani e piedi nelle trappole tese da abili criminali. Dall’autore de Il museo dell’arte perduta, un’avvincente sequenza di crime stories. L’arte del falso, edito da Johan & Levi. Traduzione di Irene Inserra e Marcella Mancini.
L’arte è stata copiata, attribuita erroneamente e falsificata sin dalla notte dei tempi. Se nell’antica Roma abbondavano le copie di sculture e vasi greci, nel Medioevo un fiorente mercato di false reliquie spuntò lungo i sentieri di pellegrinaggio. Non bisogna del resto dimenticare che molti giovani hanno imparato il mestiere copiando il lavoro dei maestri, e che riprodurre o imitare lo stile di un artista è considerato reato solo se qualcuno cerca di far passare la copia per un originale. Emblematica la vicenda riguardante Dürer e l’enorme popolarità di cui godevano le sue stampe nell’Europa del Cinquecento: per difendersi dai falsari, fu infatti il primo artista a coniare un proprio marchio e ad autopromuoversi a livello internazionale, rivelandosi in questo più affine a Jeff Koons o a Damien Hirst che ai suoi contemporanei come Giorgione o Pontormo.
In un’avventurosa spedizione tra storia, psicologia e scienza, Noah Charney passa in rassegna drammi e intrighi che circondano le vicende dei più famosi falsi d’arte: dalla coppa in oro del maestro orafo Reinhold Vasters, finita al Metropolitan con la firma di Benvenuto Cellini, al Vermeer venduto da Han van Meegeren al gerarca nazista Hermann Göring, che al termine della guerra costò a van Meegeren un processo per alto tradimento, salvo poi confessare che quel “capolavoro” lo aveva dipinto lui; dalla scuola fondata da Icilio Federico Joni e specializzata nel contraffare dipinti di produzione senese dal XIII al XV secolo alle imprese di Wolfgang Beltracchi, vero e proprio mago della truffa che ha prodotto una quantità incalcolabile di opere diventando protagonista di un documentario di successo.
Se i ladri di opere sono in genere mercenari privi di capacità, conoscenze e interessi artistici, nel regno dei falsi esistono invece tipi psicologici ricorrenti, spinti solo occasionalmente da un semplice interesse economico, più spesso motivati da un desiderio di rivalsa nei confronti di un establishment incapace di riconoscere il loro talento. Sono personaggi astuti, eccentrici e pieni di fascino, di frequente salutati dal pubblico come adorabili Robin Hood, colpevoli di un crimine innocuo e che non miete vittime, se non ricchissimi collezionisti e istituzioni senza volto.
Prima che la scienza forense e le ricerche sulla provenienza fossero applicate regolarmente per determinare l’autenticità e la paternità di un’opera, la convinzione ottimistica era di gran lunga più forte del dubbio. Ad alimentarla una figura quasi mistica, in grado di riconoscere a colpo d’occhio la pennellata, la densità del colore, la resa di temi ricorrenti e il contenuto dell’opera, nonché l’impalpabile sensazione che essa trasmette.
Il connoisseur ha pervaso il mondo dell’arte fino al Novecento, e in una certa misura continua ad avere anche oggi un ruolo fondamentale nell’autenticazione delle opere: milioni di dollari, e la reputazione di molti addetti ai lavori, dipendono ancora dalla sua parola. Mentre alcuni esperti sono stati vittime di veri e propri abbagli, altri si sono dimostrati fondamentali nel riconoscere un falso. Nello scandalo che ha colpito il J. Paul Getty Museum di Malibu, reo di avere esposto, più o meno consapevolmente, falsi e opere trafugate, cruciale fu la denuncia di Nicholas Turner, al tempo curatore, circa la dubbia autenticità di alcuni disegni attribuiti a Raffaello, fra Bartolomeo, Desiderio da Settignano e Martin Schongauer, come significativo fu il gesto di Federico Zeri, consulente artistico del museo, che si dimise in segno di protesta per l’acquisto del tristemente noto kouros del Getty, comprato per una cifra a sei zeri nel 1985. Entrambi, prima ancora del pronunciamento di qualsiasi perizia scientifica, avevano avvertito che qualcosa non quadrava e propendevano per ritenere quelle opere dei falsi moderni, contro una direzione museale che, imperterrita, continuava invece la sua frenetica politica di acquisizioni.
Per un museo che nega l’evidenza per proteggere la propria reputazione – saranno anche molti privati a optare per questa strada, pena la perdita del cospicuo investimento – altri scelgono una strategia differente. Se nel 2010 la National Gallery di Londra inaugura la mostra “Close Examination: Fakes, Mistakes and Discoveries”, il Victoria and Albert Museum ha ospitato per lungo tempo una galleria di quadri contraffatti, allo scopo di celebrare imitazioni diventate in alcuni casi persino più famose degli originali.
NOAH CHARNEY
Noah Charney è uno storico dell’arte, esperto di reati nel mondo dell’arte e un acclamato autore di romanzi e saggi su temi affini. È fondatore e presidente di ARCA, Associazione per la Ricerca sui Crimini contro l’Arte. Scrive regolarmente su ArtForum, The Daily Beast e The Guardian. Fra i suoi libri più noti, La donna del collezionista (2007) e Stealing the Mystic Lamb. The True Story of the World’s Most Coveted Masterpiece (2010). Johan & Levi ha pubblicato il suo ultimo saggio Il museo dell’arte perduta (2019).
Noah Charney
L’arte del falso
Traduzione di Irene Inserra e Marcella Mancini