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Covid photo museum: nove mostre virtuali raccontano la pandemia ai quattro angoli del mondo

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Offrire una prospettiva globale selezionata sui tempi della quarantena, del distanziamento sociale e di tutti gli effetti che la pandemia ha avuto, e continua ad avere, sulle nostre vite. Questo il proposito con cui nasce il Covid Photo Museum, uno spazio virtuale curato dalla coppia creativa Billy Linker ed Einav Jacubovich.

Cosa resterà di questo momento storico una volta che saremo tornati alla normalità? In alcuni casi, ci lasceremo presto tutto alle spalle. In altri, rimarranno segni indelebili. Come in chi ha perso un familiare o in chi non ha più un lavoro. O ancora, in chi ha vissuto momenti troppo forti per poter andare avanti come se niente fosse. E poi, resteranno le testimonianze di chi l’ha vissuto sulla propria pelle. Le fotografie ci ricorderanno ciò che abbiamo passato, o lo mostreranno a chi non era ancora nato. Nel momento presente, ci permettono di constatare gli effetti dell’emergenza sanitaria su altre parti del mondo. Ecco perché la coppia creativa composta da Billy Linker ed Einav Jacubovich ha deciso di dare vita a un museo virtuale che costituisca una memoria storica collettiva fruibile da tutti: il Covid Photo Museum. Raccogliendo le immagini tramite canali social e fonti di notizie, ne hanno curato l’esposizione digitale, firmata al contempo da fotografi professionisti e da semplici amatori.

Ebrei chassidici guardano fuori dalle loro finestre. Ashdod, Israel. 1° aprile 2020 | © Amir Cohen / Reuters

Nove, al momento, le mostre visitabili online, suddivise per tematica. Si parte da Caged (in gabbia), sezione che raccoglie gli scatti incentrati sulle case e più in particolare sulle finestre, unico contatto tra l’interno e il resto del mondo durante la quarantena. The Space we used to fill (Lo spazio che riempivamo) si focalizza sugli spazi che abitualmente brulicano di corpi e voci, in particolare i luoghi ampi, soliti ad accogliere un grande numero di persone, come i supermercati o i campi sportivi. Si passa poi a Disinfecting Earth (Disinfezione della terra), sezione che documenta le operazioni di pulizia, la cui nuova normalità prevede una disinfezione costante di aree e oggetti a cui non siamo abituati a pensare in questi termini. Sul distanziamento sociale si concentra invece 1.5 meters apart (1 metro e mezzo di distanza), il limite di sicurezza imposto per evitare di contagiare o di essere contagiati.

Cristiani ortodossi serbi partecipano alla liturgia di Pasqua nella cripta del Tempio di San Sava, uno dei più grandi luoghi di culto ortodossi, a Belgrado. 19 aprile 2020 | © Vladimir Zivojinovic

Si prosegue con Enclosed Spaces (Spazi chiusi) che esplora gli spazi domestici, componendo un mosaico diversificato della quotidianità all’interno di quattro mura. The invisibile frontline (La prima linea invisibile) racconta le storie di coloro per i quali smettere di lavorare durante la pandemia non è mai stata un’opzione possibile, dai fattorini agli operai che producono guanti in latex. Dal nostro legame sempre più forte con la tecnologia prende spunto Digital portal (Portale digitale), indagando come i media siano diventati protagonisti delle nostre giornate, spesso salvandoci dalla solitudine. Dal canto suo, Revolt (Rivolta) segue chi, durante la quarantena, ha scelto di manifestare il proprio scontento scendendo in piazza, specialmente in America. Infine, On pause from above (In pausa dall’alto) mostra grandi scenari urbani o naturali visti dall’alto, in tutta la loro inquietante desolazione.

Grande Moschea, Mecca, Arabia Saudita, 6 marzo 2020 | © Bandar Aldandani / AFP / Getty Images

*4 dans 35- Tranche de confinés- Overdose mèreappareilphoto. Paris, France. April 24, 2020 | © Emmanuelle Marchadour

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