Tate Modern e Tate Britain annunciano che riapriranno entro un paio di mesi, salvo rivedere i piani davanti ad un eventuale nuovo aumento dei casi di Coronavirus nel Regno Unito
“Insieme a tutto il settore culturale dovremo affrontare una sfida finanziaria davvero significativa“. È determinata da realista Maria Balshaw, la direttrice delle Tate Galleries, galassia che oltre ai celebri musei londinesi comprende anche le istituzioni di Liverpool e St. Ives. I musei europei stanno via via riaprendo i battenti con l’affievolirsi delle preoccupazioni per il Coronavirus: alcuni italiani e tedeschi sono già tornati visitabili, quelli francesi – dal Louvre al Centre Pompidou, al Grand Palais – stanno pianificando di accogliere nuovamente il pubblico fra giugno e luglio.
Le istituzioni britanniche seguono il colpevole ritardo con cui la politica ha superficialmente affrontato la pandemia. E Tate Modern e Tate Britain – fra le prime a chiudere, a marzo – annunciano ora che riapriranno all’inizio di agosto. Salvo rivedere i piani davanti ad un eventuale nuovo aumento dei casi nel Regno Unito. Consapevoli che le pratiche di distanziamento sociale consentiranno loro di accogliere soltanto il 30% del numero di visitatori pre-pandemia. Questo comporterà consistenti perdite di entrate, che i musei prevedono di fronteggiare con economie generalizzate sui costi di gestione. E prolungando le date delle mostre, in modo da spalmare i costi su diversi anni finanziari.