Uno fedele al mondo reale, l’altro alla sua rielaborazione fantasmagorica. La Galleria Giovanni Bonelli di Milano presenta Astratta, la mostra che fino al 30 luglio riunisce le opere di Fulvio Di Piazza e Alessandro Bazan. Abbiamo intervistato il Direttore Bonelli per avere più informazioni a riguardo.
Dal momento che in esposizione troviamo solo opere figurative, il titolo della mostra, Astratta (dal latino abstractus, ‘trarre fuori’), dà adito a fraintendimenti riguardo il suo carattere. Si tratta di un’ambiguità ricercata o di una semplice coincidenza con la corrente artistica novecentesca? Il titolo della mostra nasce da una precisa volontà degli artisti e gioca proprio sull’ambiguità di un termine ormai associato esclusivamente ad opere non figurative per ricercare nell’origine latina del termine un significato ulteriore che possa permettere anche una differente lettura dei lavori di questi due artisti.
I due artisti in mostra, Alessandro Bazan e Fulvio Di Piazza, sono entrambi siciliani. Quanto è importante la loro origine comune ai fini della mostra?
Con questa mostra abbiamo voluto mandare un chiaro segnale di unità nazionale e di transregionalità dell’arte come valore più alto rispetto a certi campanilismi che hanno subito un incremento durante questo durissimo periodo di lock-down.
Questi due artisti fanno parte della nostra storia di galleria (perché da me trattati da oltre 15 anni), ma fungono in questo caso da simbolo di una unità nazionale che la città di Milano promuove e propone a dispetto delle divisioni recenti.
Entrambi i pittori rimangono ancorati alla figurazione ma, in modo differente, tutti e due ne forzano i limiti. Dove i due stili divergono e dove invece si incontrano?
I due pittori si conoscono da una vita e, negli ultimi anni, condividono lo studio a Palermo. Dal punto di vista della figurazione Di Piazza è più surreale mentre le figure di Bazan sono spesso plausibili anche se, come lui ama ripetere, niente di ciò che raffigura esiste nella realtà: tutto è frutto di suggestioni immaginate dall’artista che si rende artefice di situazioni o futuri possibili ma non esistenti. Formalmente amano entrambi tonalità di colore sgargianti e decise ma mentre Bazan predilige una pittura stesa e regolare Di Piazza gioca -letteralmente- con una pittura a tocchi o a filamenti, stendendone più o meno la materia, per ricavarne microcosmi di senso compiuto che si compongono come tasselli all’interno dei suoi lavori più grandi.
In alcune opere in mostra si percepisce un legame con il particolare momento storico che stiamo vivendo. Potrebbe raccontarci qualcosa riguardo riguardo a queste tele?
Quasi tutte le opere in mostra sono state realizzate negli ultimi 2 anni specificatamente per l’esposizione milanese. Gli artisti hanno completato un paio dei lavori più grandi in pieno lock-down ma, perlopiù, la mostra era già pronta prima. Credo che sia una prerogativa dell’arte e dei buoni artisti quella di anticipare -involontariamente- alcune sensazioni… è come se gli artisti fiutassero l’aria grazie ad una loro speciale sensibilità e fossero in grado poi di tradurre in opere, ognuno secondo la propria tecnica espressiva, le ansie o le domande profonde del proprio tempo. Accade così guardando, ad esempio, “Volare” di Alessandro Bazan (quadro a dominante verde) dove i corpi nudi che si librano nell’aria sopra una ipotetica città semi-deserta rimandano ad un desiderio di libertà in questi mesi di clausura forzata. Stesso discorso per il grande quadro di Fulvio Di Piazza intitolato “Exodus” (quello con l’elefante) che rimanda a tematiche apocalittiche già tracciate dall’artista ma che, in questi mesi, sembrano così attuali ad esempio nel richiamo alla consapevolezza dei legami imprescindibili con la nostra madre-terra e alle nostre concrete responsabilità in termini di distruzione dell’ambiente.
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