“Ai miei allievi che, fra guerra e rovine, puntano ormai verso il traguardo dei trent’anni senza ancora aver potuto incontrarsi con i testi originali delle opere d’arte (e se ne dolgono amaramente) io vo consigliando da tempo di riprendere la buona tradizione risorgimentale del nostro gran vecchio Cavalcaselle, che girò quasi tutta Europa a piedi col sacco in spalla”.
Parole scritte nel 1946 da uno dei più grandi critici d’arte italiana: Roberto Longhi.
È il secondo dopoguerra: i musei italiani, da sempre sede di illustri e affascinanti tesori storico-artistici, sono in fase di riapertura. Le opere ritornano dai luoghi di “salvataggio” e finalmente gli allievi del grande critico e studioso ma così anche tutti coloro che amano l’arte e hanno desiderio di conoscerla e farsi ammaliare da essa, possono finalmente mettersi di fronte all’opera d’arte senza doversi accontentare di una sua mera riproduzione fotografica in bianco e nero.
Possono conoscere l’opera, avvicinarsi ad essa, toccarla nei casi in cui è permesso o è possibile farlo senza essere visti.
Ecco, oggi nel momento in cui tanti direttori museali si trovano a inaugurare la riapertura dei luoghi dell’arte italiana,dalla piccola ma preziosa pinacoteca della città al grande e noto complesso museale, mi tornano in mente queste parole di Longhi.
E tale discorso mi rammenta quanto sia fondamentale per lo storico dell’arte, così come per l’archeologo, avere davanti agli occhi quei testi figurativi che si trova a studiare.
Questo perché tutti gli insegnamenti che possiamo apprendere da un libro ci aiutano nella comprensione del contenuto storico e stilistico-formale dell’opera d’arte, ma poi, quello che permette di comprendere l’essenza dell’opera e la natura, quello che fa sì che uno si innamori degli angioletti di Rosso Fiorentino o dei visi lunghi di Parmigianino è vedere quegli angioletti di Rosso Fiorentino e quei visi lunghi di Parmagianino.
E solo dopo questi mesi di chiusura, ho compreso appieno le parole di Longhi e il suo dispiacere nel pensare che i suoi allievi dovessero accontentarsi di conoscere l’opera attraverso fotografie.
A questo punto, sono grata ai miei professori universitari, che ci hanno sempre spronato e accompagnato nell’esplorazione non solo di musei ma anche di chiese, conventi e cattedrali. Ci hanno portato a trovare quelle opere nelle loro case, nei luoghi sacri per cui sono state concepite e in cui dimorano in perfetta armonia con lo spazio circostante.
Che senso avrebbe avere un amico e conoscerlo solo per mezzo di una fotografia?
E nel nostro secolo, quando ci troviamo di fronte ad un’opera d’arte, siamo portati, in maniera del tutto istintiva, a fotografarne i minimi dettagli. È lecito e consentito fotografare un’opera d’arte? “Sì”rispose un giorno di fronte a un’opera di Tintoretto il mio professore, “perché in questo modo si creano nuove opere e l’opera stessa rivive e con essa la sua storia”.