Proprio come sta accadendo in questi tumultuosi giorni che hanno seguito la morte di George Floyd, un altro caso di cronaca nera, quello di Michael Stewart, ha ispirato alcuni artisti a realizzare opere in supporto della causa afroamericana. Tra questi ci sono Jean-Michel Basquiat e Keith Haring.
Il 25 maggio scorso, nella cittadina americana di Minneapolis (Minnesota) ha perso la vita il quarantaseienne afroamericano George Floyd, morto soffocato per mano di un agente della polizia che lo aveva fermato a seguito di una segnalazione. Nel giro di poche ore il video della sua atroce uccisione, girato da un testimone con il proprio smartphone, ha fatto il giro del web lasciando inorridita l’opinione pubblica di tutto il mondo. Da giorni l’America di Trump è in fermento e, in molte città, intere comunità di afroamericani continuano a scendere per le strade chiedendo sia fatta giustizia per George, gridando a gran voce un unico motto: «please, I can’t breathe». L’impiego della violenza da parte delle forze dell’ordine non è purtroppo cosa rara negli Stati Uniti, dove, di fatti gravi come quello accaduto pochi giorni fa se ne sente disgraziatamente parlare troppo spesso.
Ma veniamo al senso di questo articolo. Sentir parlare di questo episodio di cronaca nera mi ha fatto ripensare a Defacement (1983), la celebre opera di Jean-Michel Basquiat, artista afroamericano di fama internazionale, considerato uno dei più noti rappresentanti del movimento graffitista americano degli anni Ottanta, insieme all’amico Keith Haring. Originario di Brooklyn, Basquiat cominciò giovanissimo a farsi conoscere nel mondo della Street Art newyorkese intorno alla seconda metà degli anni Settanta, quando incominciarono a comparire per le strade della città i suoi primi graffiti firmati con lo pseudonimo SAMO, acronimo di “Same Old Shit” (Solita vecchia merda). In questi stessi anni conosce anche Andy Warhol, l’artista più in vista della Pop Art americana, con il quale resterà in stretto contatto sino alla morte e che, dagli anni Ottanta, gli aprirà le porte del collezionismo privato, aiutandolo a vendere i propri quadri. Oggi le opere di Basquiat sono apprezzatissime in tutto il mondo; vendute all’asta per cifre esorbitanti, ad oggi si trovano in collezioni private e nei più importanti musei del mondo. Defacement. The Death of Michael Stewart, questo il titolo completo del quadro citato poc’anzi, mostra due poliziotti bianchi intenti a picchiare con manganelli arancioni un uomo nero.
Una scena di violenza, questa, che richiama alla memoria quanto accaduto a Floyd, pensata e realizzata da Basquiat per testimoniare l’impiego della forza bruta da parte degli agenti di polizia dello Stato di New York. Anche quest’opera nasce da un reale fatto di cronaca: la morte del giovane Michael Stewart, writer nero arrestato dalla polizia la notte del 15 settembre 1983 perché stava “presumibilmente” realizzando graffiti con bomboletta spray all’interno della First Avenue station. La notizia delle percosse subite da Stewart durante l’arresto e quella della morte, sopraggiunta dopo diversi giorni di coma, provocarono grande scandalo tra la popolazione e molti artisti colsero l’occasione per denunciare le violenze impartite dalla polizia ai cittadini americani neri. Una circostanza, questa, che sembra ripetersi anche in questi giorni dato che, artisti di tutto il mondo, tra i quali Banksy, stanno mostrando pubblicamente la propria solidarietà a Floyd con il proprio lavoro.
Essendo afroamericano, Basquiat ha vissuto in prima persona il peso della discriminazione razziale e questo spiega il motivo per cui, nelle sue opere, è ricorrente il tema della black identity, oltre al fatto che, protagonisti dei suoi quadri sono il più delle volte uomini di colore. Un modo, il suo, per riabilitare agli occhi della società quella parte della popolazione americana che, nonostante le battaglie politiche fatte per ottenere la parità dei diritti tra bianchi e neri, continuava ad essere vittima di soprusi e discriminazioni. Le figure “brutte” che caratterizzano il suo stile ricordano da vicino la semplicità formale dei disegni infantili, rifacendosi al concetto di “art brut” introdotto da Jean Dubuffet nella seconda metà degli anni Quaranta. Sono immagini, quelle di Basquiat, che vogliono essere volutamente sgraziate, goffe, addirittura rozze, per il semplice fatto che l’obiettivo dell’artista è dare sfogo alla propria libertà creatività. Diversamente da Dubuffet, Basquiat è però solito inserire accanto alle figure anche parole, frasi e simboli vari, che assumono un preciso significato nella composizione. Così, in Defacement, troviamo scritta, in alto, la parola “defacement” (deturpazione) che allude alla condizione del corpo del venticinquenne Stewart, sfigurato per i lividi e le ecchimosi provocate dalle percosse subite durante l’arresto.
Anche Keith Haring, writer originario della Pennsylvania, ha dedicato a Michael Stewart un’opera famosissima dal titolo Michael Stewart – USA for Africa (1985), dove questa volta il giovane Michael ci viene mostrato nudo, nel momento in cui sta per essere strozzato per mezzo di un tubo tenuto ben saldo da delle gigantesche mani bianche. Come sempre, l’estro creativo di Haring gli permette di affrontare tematiche importanti, come in questo caso quella del razzismo, tramite uno stile chiaro e d’immediata comprensione, dove le figure bidimensionali hanno corpi stilizzati e un vivace e luminoso cromatismo. Due opere completamente diverse, quelle di Basquiat e Haring, che testimoniano quanto, anche il mondo della Street Art, da cui entrambi gli artisti provenivano, abbia contribuito alla diffusione di messaggi importanti, di solidarietà e tolleranza, cercando di contrastare l’avanzata di politiche razziste e discriminatorie contro il diverso. Un’arte per tutti, come quella che sognava Haring, realizzata su muri, vagoni dei treni e approdata poi nei musei e nelle gallerie d’arte grazie anche al contributo di questi due artisti straordinari che, nell’arco di una breve vita hanno saputo lasciare un segno indelebile nel mondo dell’Arte. Basquiat morirà di overdose nell’agosto 1988, a soli 27 anni, dopo aver condotto una vita intensa e sregolata, mentre Haring, più vecchio di due anni del collega afroamericano, morirà nel febbraio del 1990 dopo una lunga e sofferente battaglia contro l’AIDS.