Il lavoro fotografico di Paolo Simonazzi, realizzato a Cuba nel 2015, in mostra a Cesenatico, dal 1° luglio al 6 settembre 2020, presso la Galleria Comunale d’Arte Leonardo Da Vinci. In una recente intervista pubblicata proprio sulla nostra rivista, a proposito della genesi del progetto Mantua Cuba, Simonazzi spiega il significato di questo insolito reportage, in cui “dipinge”e regala una realtà poco convenzionale.
Perché Mantua, Cuba? “ Per più di una ragione… “ – dice Paolo Simonazzi – “La prima sicuramente di tipo affettivo, ovvero il desiderio di ricordare un amico mio concittadino, Velmore Davoli, che era stato a Mantua nell’estate del 1999 per un progetto di cooperazione internazionale e che dopo pochi mesi scomparve tragicamente in un incidente aereo nel Kosovo, dove si stava recando per un altro missione internazionale di cooperazione. Descrivendomi questa località un po’ai confini del mondo mi disse: ”Avresti dovuto essere con me con la tua macchina fotografica.”
Le altre ragioni sono, direi, di tipo espressivo, nel senso che provo una forte attrazione per quei luoghi improbabili dove il reale si mescola in maniera impercettibile con il surreale, e avevo la sensazione che Mantua già solo per l’origine curiosa del suo nome, tuttora sospesa tra storia e leggenda, potesse essere uno di quei luoghi. Per dirlo con le parole di una grandissima fotografa, Sarah Moon “l’occhio sente prima di vedere””.
Il progetto Mantua, Cuba è un progetto che nasce da un’esigenza intima e primaria dell’Autore: quella di ricordare l’amico scomparso Velmore Davoli, che aveva visitato quei luoghi nel 1999, all’interno di un programma di cooperazione internazionale. Il progetto, nella sua complessa e lunga evoluzione, si è arricchito del contributo fondamentale di Davide Barilli, che conosce bene Cuba, spesso protagonista dei suoi romanzi e dei suoi racconti. Proprio sulla base di queste sollecitazioni nascono uno studio e una ricerca che rivelano un’interferenza tra storia e leggenda, fra un’origine forse italiana della piccola cittadina caraibica e un brigantino genovese affondato nell’oceano, a poca distanza dalle coste su cui sarebbe sorta Mantua. Alcune testimonianze sembrano confermare l’avventurosa origine, ma poco importa la veridicità della Storia.
La leggenda basta e avanza per costruire una narrazione e per cercare affinità elettive, apparentemente improbabili, tra la provincia padana e quella cubana, tra oggetti, simboli e dettagli sospesi in un “mondo piccolo”, che protegge la propria viscerale identità. Simonazzi fotografa ciò in cui ritrova un senso di appartenenza, indipendentemente dalle latitudini geografiche, ovvero l’idea stessa di provincia: una nebula afosa, dove i muri possono essere testimoni di pezzi di storia, di fede, di sincretismo magico. E proprio dalla visione di una scritta ritrovata su un edificio in abbandono, Bar del olvido, tutto ha avuto inizio. Una scritta che diventa il sentimento intorno al quale ruota l’intero progetto, la dimenticanza come filo rosso tra Mantua, la sua bizzarra italica leggenda e la capacità intrinseca dei luoghi remoti di ovattare la Storia, di trasformarla e farla danzare su un teatrino in cartapesta.
Tutto questo è filtrato da una cultura fotografica ben definita, che individua i propri modelli in quell’importante esperienza che dalla via Emilia arriva a toccare l’asfalto americano: da Luigi Ghirri ai New Topographers, passando attraverso il cromatismo di William Eggleston. Una cultura che Simonazzi rivendica e attualizza nella consapevolezza di raccontare una leggenda, qualcosa che forse è già scomparso anche se ancora davanti agli occhi. Qualcosa che va comunque protetto, anche solo per provare il piacere di potersi rifugiare, qualche volta, nelle illusioni.