Appena insediatasi alla direzione di Kunst Meran – Merano Arte, Martina Oberprantacher ci parla delle sue idee e dei suoi progetti con cui porterà avanti l’avventura altoatesina. La nuova direttrice proviene da una lunga esperienza a Monaco di Baviera, presso la prestigiosa Lenbachhaus.
Su quali concetti principali intende fondare il suo mandato di direttrice della Kunsthaus?
Recentemente mi sono occupata di mediazione e pedagogia artistica, a partire dalla mia formazione e dalla precedente esperienza lavorativa. Ho avuto modo, così, di affrontare diverse tematiche inerenti ai concetti di diversificazione e inclusione. Da una parte queste esperienze non possono non influenzare la programmazione – (quali ricerche artistiche saranno incluse (e quali no?) – mentre da un’altra è necessario tenere conto delle specificità dell’istituzione – chi lavora alla Kunsthaus (e chi no?) – così come del suo pubblico – Chi si sente accolto (e chi no?).
Per me assume quindi una particolare importanza che la consapevolezza delle differenze nella società si rifletta nella percezione della Kunsthaus, interna ed esterna, attraverso una diversificazione di ambiti e in modo tale che non si verifichino forme consapevoli o inconsapevoli di estromissione, e quindi di esclusione. Pensare di progettare tutto questo in modo articolato su diversi livelli, da quelli più semplici ai più complessi, costituisce una grande sfida.
Al contempo reputo che ricopra un ruolo centrale e irrinunciabile, lo sviluppo di alcuni principi su cui basare il lavoro, come ad esempio un approccio dialogico e discorsivo, così come di carattere antidiscriminatorio. Ho guardato con interesse a istituzioni che affiancano alle concezioni dei propri programmi una forte attenzione per le modalità di lavoro,acquisendo così una consapevolezza che determina una convergenza sempre maggiore tra la percezione interna e la percezione esterna.
Mi interessa inoltre mantenere molti degli aspetti per cui Kunst Meran – Merano Arte è conosciuto e apprezzato, quali il programma interdisciplinare (che alterna arte, architettura), e la sua capacità di offrire una visione contemporanea sia quando si rivolge al passato sia in relazione a questioni attuali.
Per quanto concerne il profilo e il taglio delle mostre di arte contemporanea, aspetto la nomina del nuovo curatore o della nuova curatrice[1], che annunceremo presto. In ogni caso, resterà sicuramente centrale l’attenzione a temi e fenomeni sociali, culturali e politici così come presentazione di arte impegnata in questi settori.
Al di là delle modalità di visita delle mostre, e altre questioni logistiche, come pensa che questa pandemia abbia influenzato il rapporto del pubblico con l’arte? Ad esempio, il fatto di aver usufruito della possibilità di visitare via web molti importanti musei, crede abbia avvicinato anche il pubblico solitamente meno interessato all’arte? E se sì, il trend potrà continuare?
Penso di sì, ma anche che dipenda molto, come spesso accade, dalla qualità delle proposte. Ritengo che questo sia stato, per le istituzioni artistiche e per i musei in generale, un momento importante per valorizzare le possibilità virtuali e digitali e favorire esperimenti in questo campo. Le istituzioni che già prima della pandemia avevano sperimentato forme e metodologie digitali e che quindi avevano un’esperienza alle spalle in questi ambiti, hanno avuto modo di valorizzarli e svilupparli ulteriormente. Penso che sia molto importante lo sviluppo di un linguaggio digitale basato su una strategia a lungo termine, intelligente e coinvolgente, che non si limiti a trasferire l’analogico in digitale ma parta dalle diverse modalità e possibilità offerte da esso.
Generalmente, se guardiamo alla provenienza geografica degli artisti ospitati alla Kunsthaus, notiamo una netta maggioranza dell’area italo-tedesca. Da parte sua, amplierà il punto di vista aprendo il Museo anche a giovani artisti di altre regioni europee e mondiali, oppure manterrà questa linea?
Selezionare gli artisti e le artiste anche in base a un focus geografico non è solo una scelta programmatica, ma anche economica ed etica. Soprattutto nel momento attuale, la decisione di sostenere trasporti e viaggi di grande entità deve essere presa con consapevolezza, tenendo conto della responsabilità che abbiamo nei confronti dei fondi pubblici e dell’ambiente. È importante anche che i rapporti con gli artisti siano basati su un confronto duraturo e su ricerche, che ovviamente sono semplificati dalla vicinanza geografica.
In ogni caso, alla fine, quello che conta è la qualità del lavoro e non la sua provenienza.
Quindi, finché risulta eticamente sostenibile e motivato sul piano dei contenuti, sono assolutamente favorevole a un programma diversificato che non faccia distinzioni tra le cosiddette posizioni locali e globali. In fondo cosa significa “locale” e cosa significa “globale”? A prescindere dalla provenienza dei loro autori, le opere che presenteremo dovranno proporre delle analisi, stimolare ragionamenti, coinvolgere, affascinare, svelare, sensibilizzare e divertire.
Cosa porta a Merano della sua esperienza alla Lenbachhaus di Monaco di Baviera? Riproporrà programmi educativi già sperimentati in Germania?
Quello che certamente porterò con me a Merano è un’esperienza molto varia di cooperazione con istituzioni del settore educativo e sociale, la direzione di un team e la collaborazione stimolante con artisti e mediatori. Alla Lenbachhaus ho anche avuto modo di apprendere una cultura del discorso e del dibattito, basata su un confronto molto intenso.
Naturalmente sarei tentata di riproporre qua programmi realizzati con successo a Monaco, ma non ritengo che un’operazione del genere avrebbe senso in quanto le condizioni – in termini spaziali, personali, finanziari etc. – sono del tutto differenti; anche il contesto in cui opera l’istituzione e il suo pubblico non sono gli stessi, e questa consapevolezza è essenziale per il ruolo che svolgerò qui alla Kunsthaus. Di fatto, non credo che si possa sovrapporre qualcosa di vecchio a un nuovo contesto.
Tuttavia, laddove risulti utile in termini di contenuti o al contesto, si può sempre valutare di portare avanti e coltivare contatti e collaborazioni proficue.
Come imposterà il rapporto fra la Kunsthaus e le scuole del territorio?
In primo luogo ho intenzione di contattare i rappresentanti del sistema scolastico. Reputo fondamentale sottolineare l’importanza dell’apprendimento e delle esperienze veicolati dal lavoro artistico. Indagare il presente, tradurre queste analisi e queste ricerche in contenuti e trasmetterli infine in una forma espressiva artistica è una modalità di apprendimento complessa e assolutamente essenziale per lo sviluppo personale, non solo dei bambini e dei giovani ma anche degli adulti. Inoltre l’aspetto sociale del lavoro artistico, si pensi ad esempio alla realizzazione di film collettivi, favorisce l’acquisizione di competenze trasversali, le cosiddette soft skills, con risultati molto difficili da raggiungere in altri settori di apprendimento.
Appena avrò raggiunto un maggiore livello di familiarità con tutto il nuovo lavoro da svolgere, ho intenzione di concentrarmi maggiormente sul compito di coinvolgere le scuole nella nostra attività; penso ad esempio a collaborazioni a lungo termine con scuole o singole classi, anche inerente alla ricerca estetica generale della Kunsthaus.
Come sta ripartendo la Kunsthaus, dopo la pandemia? Quali sono i nuovi progetti?
Attualmente sono in corso due progetti – avviati però prima che iniziassi questo incarico – che offrono due diverse possibili letture della pandemia, e forse anche due possibili risposte ed essa: Public Art Map e KOPFhoch. Il primo era iniziato prima dell’emergenza, ma sembra quasi pensato appositamente per questa situazione. Realizzato in collaborazione con l’Azienda di Soggiorno di Merano, è costituito da testi di Anna Zinelli e fotografie di Davide Perbellini relativi alle numerose opere d’arte contemporanea presenti nello spazio pubblico in città, che spesso non vengono notate dai passanti. L’obiettivo è quello di restituire attenzione a questi lavori, alcuni dei quali dimenticanti, per stimolare un dialogo e una discussione e per allenarci a uno sguardo attento e critico rivolto alle opere d’arte che ci circondano e incontriamo quotidianamente. Proprio adesso che sono finiti il lockdown e la permanenza a casa, assume una dimensione del tutto diversa l’appropriazione dello spazio pubblico.
Con il secondo progetto, curato da Ursula Schnitzer, Kunst Meran Merano Arte ha invitato ad affrontare in modo diretto l’attuale situazione della pandemia – durante e dopo il lock down – undici artisti: Hannes Egger, Michael Fliri, Julia Frank, Linda Jasmin Mayer, Christian Martinelli, Ali Paloma, Riccardo Previdi, Josef Rainer, Christian Reisigl, Thomas Sterna, Maria Walcher. I contributi che hanno proposto offrono letture incoraggianti, critiche, orientate al futuro, autoriflessive e poetiche del presente. I progetti, che saranno affissi dal primo luglio 2020 su spazi per i cartelloni pubblicitari nella città di Merano, sono intesi come una forma di incoraggiamento ad agire in modo solidale e ottimista. L’iniziativa è stata resa possibile grazie alle misure a sostegno della cultura stanziate dalle tre ripartizioni della Provincia Autonoma di Bolzano.
[1] Nota della traduttrice:
Nel testo originale tedesco è utilizzata, in questo e in altri casi, la formula con “Genderstern” (asterisco di genere) Kurator*innen.
Si è scelto tuttavia di non adottare anche in italiano questa formula grafica, in particolare per casi come questo in cui il suffisso finale differente al femminile e al maschile (curat-ore / curat-rice) avrebbe comportato una soluzione di difficile leggibilità (curat*).