Una traversata nella storia della fotografia degli anni ’50 del Novecento italiana e internazionale si tinge di densi neri e bianchi lattiginosi. A 20 anni dalla scomparsa di Mario Giacomelli (Senigallia 1925-2000), la città di Senigallia omaggia il fotografo proponendo una rilettura del suo percorso artistico all’interno del più ampio contesto culturale.
Dislocata in due palazzi, la mostra “Sguardi di Novecento. Giacomelli e il suo tempo” (20 febbraio-27 settembre 2020) ospita a Palazzo del Duca i grandi maestri della fotografia del Novecento in dialogo con la fotografia di Giacomelli e a Palazzo Baviera viene raccontata l’avventura del gruppo Misa. L’evento è sentito dalla “Città della Fotografia” come doveroso e intende sensibilizzare, diffondere e valorizzare la cultura fotografica. Dal profondo legame fra Senigallia e la fotografia, che ha contribuito all’identità della città e alla scrittura di alcune significative pagine della storia cittadina, è nata una Legge Regionale (n. 15/2018) deputata al sostegno e valorizzazione della cultura fotografica. Proprio a seguito delle numerose manifestazioni ed eventi espositivi anche di rilievo internazionale, alla città di Senigallia è stato conferito il titolo di “Città della Fotografia”.
La mostra propone un itinerario visivo nella storia della fotografia del XX secolo, di cui Mario Giacomelli è stato grande protagonista, ricollocandone la figura nel contesto culturale in cui ha operato e mettendo la sua produzione a confronto con l’attività di fotografi storici della sua generazione (Richard Avedon, Brassai, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Walker Evans). Le testimonianze fotografiche della Senigallia degli anni ’50, con i suoi protagonisti e il contesto culturale dell’epoca, si confrontano con quelle di fotografi di fama internazionale.
Giacomelli opera in un contesto non facile. L’Italia a cavallo fra il 1940 e il 50 è reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, necessita di adottare una politica di ricostruzione del paese e di un nuovo Stato democratico. Questi drastici cambiamenti influenzano gli artisti che sentono l’esigenza di un cambiamento di visione. Al filone realista di pittori, registi (Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica) e scrittori, si affianca un fronte caratterizzato da ricerche più sperimentali (Làszlò Moholy-Nagy, scuola del Bauhaus, Otto Steinert). In questo contesto Giacomelli rielabora le lezioni dei grandi maestri, creando uno stile personalissimo fatto di contrasti violenti, neri catramosi e bianchi abbacinanti.
Le mostre passate, hanno voluto testimoniare aspetti particolari della ricerca di Giacomelli, dalle poetiche astratte e informali alle ricerche degli ultimi anni. Ora, sono presentate venti opere selezionate dalle serie iconiche di Giacomelli con la precisa volontà di ricollocare il maestro tra i grandi della fotografia internazionale del ‘900. Il dialogo presentato in mostra propone anche opere di importanti autori senigalliesi e italiani facenti parte del Gruppo Misa e che, sul finire degli anni 1950 hanno intrattenuto rapporti con Giacomelli contribuendo a costruire la storia fotografica della città di Senigallia.
La scelta di voler affiancare al maestro di Senigallia fotografi appartenenti ad altre aree geografiche e culturali prende spunto dalla storica mostra curata da John Szarkowski al MoMA di New York nel 1964, “The Photographer’s Eye” la quale rendeva manifesto uno dei paradossi ricorrenti nella storia dell’arte: il rapporto fra il radicamento dell’autore e la circolazione delle sue opere. Durante tutti gli anni ’50 e anche nei successivi, in ambito di fotografia artistica, chi riesce maggiormente ad emergere è chi si muove meno e che nel suo contesto riesce a vedere oltre, così da inventare un linguaggio capace di superare i confini mentali e culturali di un preciso momento storico.
E’ così che il tema del rapporto di Giacomelli con la sua terra si rende sempre più manifesto negli scatti del fotografo marchigiano, che dimostra di aver sapientemente introiettato la lezione del maestro Otto Steinert riguardo alla fotografia soggettiva. La rappresentazione dei luoghi, delle campagne, degli spazi cittadini marchigiani diviene una maniera per Giacomelli non solo di immergersi in se stesso, ma anche di confrontarsi col reale, conscio di “essere al mondo attraverso il mondo” (Walter Guadagnini) e poi tornare alla coscienza manipolando, attraverso la post produzione fotografica, la realtà a seconda delle proprie necessità espressive. Anche il fotografo dunque, diviene spettatore della realtà che ha creato.
Le opere fotografiche dei membri del gruppo Misa (Collezione Civica di Senigallia) testimoniano un fermento culturale di spessore nella città marchigiana durante gli anni ’50 del Novecento. Il Misa fu fondato da Giuseppe Cavalli da una costola del La Bussola, associazione fondata nel 1947 che si prefiggeva l’obiettivo di essere guida alla fotografia come arte. A tal proposito Cavalli insegnava che: “Per comunicare con l’immagine non si intende la sola trasmissione dei fatti, ma anche degli stati d’animo, le sensazioni, il tuo intervento, la tua partecipazione”. La fotografia stava cercando un proprio posto nel mondo dell’arte e della comunicazione, discostandosi dalla moda verista e dalla fotografia per le riviste fatta dai free lance.
Alla mostra sono presenti fotografie selezionate coi criteri cavalliani in cui sussiste quella magica fusione tra forma e contenuto e l’immagine diviene rappresentazione poetica del racconto. A questi insegnamenti, fra cui una composizione rigorosa e un soggetto come pretesto, Giacomelli univa l’amore per la materia che arricchiva le immagini di contrasti marcatissimi e contenuti indiretti.