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La Gran Betragna di Boris Johnson stanzierà 1.5 miliardi per l’arte

Boris Johnson

Ma chi avrebbe mai detto che il primo ministro inglese, membro di punta del partito internazionale del sovranismo che tanto successo sta riscuotendo nel mondo politico, potesse mettere in campo un pacchetto di aiuti così cospicuo? Stiamo parlando di 1,5 miliardi di sterline. Per darvi un’idea, nel decreto Curaitalia la cifra destinata alla sanità è stata poco più del doppio rispetto lo stanziamento inglese per l’arte.

“Comprendo le gravi sfide che l’arte deve affrontare e dobbiamo proteggere e preservare tutto ciò che possiamo per le generazioni future, assicurando che le professionalità della cultura e della creatività di tutto il Regno Unito possano rimanere a galla durante questo periodo di chiusura forzata”. Certo, l’economia inglese ragiona e può agire più liberamente e con ordini di grandezza ben diversi da quelli italiani. Ma non è questo il punto. Il punto è la sensibilità alla cultura e la sua percezione nella società e a livello governativo. Ad essere onesti Jonhson non è certamente buzzurro e ignorante come il suo omologo americano, anzi gli si può dare credito di essere anche piuttosto colto, tanto da saper recitare i primi 42 versi dell’Iliade in greco antico, cosa non proprio facilissima. Ma andando oltre le sensibilità e le attitudine politiche dei vari leader i fondi stanziati dal governo britannico sono la prova di un’altra forma mentis, già piuttosto evidente anche prima visto che in UK i musei statali sono ad accesso libero e gratuito, una chimera in Italia dove per accedere, facendo un esempio, agli Uffizi devi sborsare venti euro.

In Italia non si è fatto sostanzialmente nulla, ogni realtà è lasciata al proprio destino, c’è chi ha deciso di compiere scelte coraggiose come la Triennale o il Piccolo Teatro che non appena hanno potuto hanno aperto i loro spazi all’aperto e rimesso in moto le attività. Ma non tutte le realtà godono di spazi aperti e sopratutto di una forza e un sostegno economico in grado di garantire una programmazione culturale anche durante questo periodo di restrizioni. Tutte le realtà denunciano perdite economiche anche elevate e bisognerà capire come questi buchi di bilancio andranno a influenzare il futuro, sperando di perdere il meno possibile la pluralità di musei, teatri e sale cinematografiche. A seguito della Secondo Guerra Mondiale ci fu una scelta precisa e consapevole, ricostruire partendo dalla identità culturale per creare un immaginario futuro che non avesse più all’orizzonte lo scempio della guerra e del fascismo. Oggi a seguito di una pandemia che ha lasciato un segno indelebile nella nostra società la preoccupazione è solo una: l’economia. Al motto della privatizzazione dei guadagni e collettivizzazione delle perdite il mondo industriale sta piegando le scelte del governo. Per fortuna qualcosa si muove: un nuovo gruppo di lavoratori del mondo dell’arte sorto da crisi sta cercando di mettere in campo energie nuove, sperando che le loro, che sono anche le mie e nostre richieste, non arrivino troppo tardi. Perchè all’ombra di ogni istituzione si celano migliaia di figure professionali senza alcun inquadramento, senza alcuna garanzia e ora probabilmente senza neanche soldi con cui campare.

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